Santi E Beati

Chiesa di S. Alfonso Liguori, Roma.

 

Gerardo Majella

Gerardo nasce nel 1726 a Muro, una cittadina nel Sud Italia. Ha la benedizione di avere per madre Benedetta, che gli farà capire l’immenso ed illimitato amore di Dio. E’ felice perché si sente vicino a Dio.

Gerardo ha soltanto dodici anni quando muore suo padre ed il ragazzo diventa l’unico sostegno della famiglia. Diventa apprendista presso un sarto del luogo che lo maltratta e lo percuote spesso. Dopo quattro anni di apprendistato, proprio quando è in grado di aprire una sartoria in proprio, annuncia che intende entrare al servizio del Vescovo locale di Lacedonia. Gli amici consigliano di non accettare quel posto. Ma le angherie e i continui rimproveri che costringono gli altri servi a lasciare il posto dopo poche settimane, a Gerardo non fanno paura. Sa piegarsi ad ogni necessità, e rimane al servizio del vescovo per tre anni, fino alla morte di quest’ultimo. Quando Gerardo ritiene di fare la volontà di Dio accetta qualsiasi cosa. Non contano le percosse del sarto e neppure il fatto di essere preso per scontato dal vescovo; vede la sofferenza come un modo per essere alla sequela di Cristo. E’ solito dire: “La Sua Signoria mi vuol bene”. E già da allora Gerardo passa delle ore in compagnia di Gesù nel Santissimo Sacramento, che è il segno del suo Signore crocifisso e risorto.

Nel 1745, all’età di 19 anni, ritorna a Muro stabilendovisi da sarto. Il suo negozio prospera ma di soldi ne fa pochi. Regala praticamente tutto quello che ha. Mette da parte quanto serve per sua madre e per le sorelle, il resto lo dà ai poveri, oppure come offerte per le Messe in suffragio delle anime del purgatorio. Per Gerardo, niente conversione a sorpresa. Si tratta di una costante crescita nell’amore di Dio. Durante la quaresima del 1747 decide di diventare il più possibile come Cristo. Si sottopone a severe penitenze e cerca l’umiliazione, facendo finta di essere pazzo, felice di sentirsi deriso per le vie della città.

Vuole servire Dio totalmente e chiede di essere ammesso dai Frati Cappuccini, ma la sua domanda viene respinta. A ventun anni tenta la strada dell’eremita. Il suo desiderio di essere come Cristo è tale, da farlo saltare sull’occasione di poter essere al centro del palcoscenico durante una rappresentazione della Passione a tableau vivant nella Cattedrale di Muro.

Con i Redentoristi

Avviene poi che nel 1749 i Redentoristi arrivano a Muro. I missionari sono quindici e prendono d’assalto le tre parrocchie della cittadina. Gerardo segue la missione in ogni suo dettaglio e decide che è questa la vita che fa per lui. Chiede di poter diventare membro del gruppo ma il Superiore, Padre Cafaro, rifiuta a causa della sua salute cagionevole. Talmente Gerardo tormenta i missionari che, quando questi stanno per lasciare la città Padre Cafaro consiglia alla sua famiglia di rinchiuderlo nella sua stanza.

In un’impresa che da allora in poi continuerà a trovare eco nel cuore dei giovani, Gerardo annoda le lenzuola del letto e si cala dalla finestra per seguire il gruppo di missionari. Ci vogliono ben dodici miglia prima di raggiungerli. “Prendetemi con voi, datemi un’occasione, poi mandatemi via se non sono buono” dice Gerardo. Davanti a questa persistente richiesta, a Padre Cafaro non resta che dargli almeno una chance. Manda Gerardo in una comunità Redentorista di Deliceto con una lettera in cui dice: “Vi mando un altro Fratello, che sarà inutile per quanto concerne il lavoro…”

Gerardo si innamora totalmente e assolutamente del modo che Alfonso, il fondatore dei Redentoristi, ha previsto per i membri della sua congregazione. Vibra di emozione nello scoprire che l’amore di Gesù nel Ss. Sacramento vi sta al centro, e che l’amore di Maria, Madre di Gesù viene considerato come altrettanto essenziale. Prende i primi voti il 16 luglio 1752, ed è deliziato nell’apprendere che è il giorno in cui si festeggia il Ss. Redentore oltre ad essere la festività di Nostra Signora del Monte Carmelo. Da quel giorno, eccetto per qualche breve visita a Napoli ed il periodo di tempo trascorso a Caposele dove morirà, la vita di Gerardo si svolgerà nella comunità Redentorista di Iliceto.

L’etichetta di “inutile” non gli rimarrà appiccicato a lungo. Gerardo à un lavoratore eccellente e negli anni a venire diventa giardiniere, sagrestano, sarto, portiere, cuoco, carpentiere, ed impiegato nei nuovi edifici di Caposele. Fa presto ad imparare – visita l’officina di un incisore di legno e ben presto è in grado di produrre dei crocifissi. Per la comunità diventa un tesoro, ma ha soltanto un’ambizione – quella di fare la volontà di Dio sempre e in ogni cosa.

Nel 1754 il suo direttore spirituale gli chiede di scrivere su carta quello che più di ogni altra cosa desidera. Scrive: “amare molto Dio; essere sempre unito con Dio; fare ogni cosa per Dio; amare tutto per Dio; soffrire molto per Dio: L’unica cosa che conta è di fare la volontà di Dio

La grande tribolazione

La vera santità va sempre provata con la croce. Nel 1754 Gerardo deve passare attraverso una grossa prova, una prova che da sola può avergli meritato il potere speciale di assistere le madri ed i loro figli. Fra le sue opere di zelo vi è quella di incoraggiare ed assistere le ragazze che vogliono entrare in convento. Spesso provvede perfino alla dote richiesta quando si tratta di una ragazza povera che altrimenti non potrà essere ammessa in un ordine religioso.

Neria Caggiano è una di queste ragazze che viene aiutata da Gerardo. Ma prova disgusto per la vita conventuale e dopo tre settimana fa ritorno a casa sua. Per spiegare il suo gesto, Neria comincia a fare circolare falsità circa la vita delle suore, e quando la buona gente si rifiuta di credere alle storie circa un convento raccomandato da Gerardo, decide di salvare la propria reputazione distruggendo il buon nome del suo benefattore. Pertanto, in una lettera rivolta a S. Alfonso, superiore di Gerardo, accusa quest’ultimo di peccati di impurità con la giovane figlia di una famiglia nella cui casa Gerardo è spesso ospite durante i suoi itinerari missionari.

Gerardo viene chiamato da S. Alfonso per rispondere all’accusa. Invece di difendersi, rimane nel silenzio, seguendo l’esempio del suo divino Maestro. Di fronte al suo silenzio, S. Alfonso non può fare altro che imporre una severa penitenza al giovane religioso. A Gerardo viene negato il privilegio di ricevere la santa Comunione ed è vietato ogni contatto con l’esterno.

Per Gerardo non è facile rinunciare al suo impegno a beneficio delle anime, ma è poca cosa accanto al fatto di essere privato della Santa Comunione. Ne soffre talmente da chiedere di essere liberato dal privilegio di poter servire Messa dalla paura che la veemenza del suo desiderio di riceverla possa spingerlo a strappare l’Ostia consacrata dalle mani del sacerdote sull’altare.

Poco tempo dopo Neria si ammala seriamente e scrive una lettera a S. Alfonso confessando che le sue accuse contro Gerardo sono state una sua invenzione ed una mera calunnia. Il santo è pieno di gioia nell’apprendere l’innocenza del figlio suo. Ma Gerardo, che non si è lasciato deprimere durante il tempo della tribolazione, non esulta neppure nell’ora della sua giustificazione. In entrambi i casi sente che si è compiuta la volontà di Dio, e ciò gli basta.

Operatore di miracoli

Pochi santi vengono ricordati per tanti miracoli quanti sono attribuiti a S. Gerardo. Il processo della sua beatificazione e canonizzazione rivela che sono avvenuti miracoli a profusione e di ogni genere e tipo.

Spesso cade in estasi mentre medita su Dio e sulla Sua santa volontà. In quei casi il suo corpo viene visto innalzarsi a vari piedi sopra il pavimento. Vari appunti autentici rivelano che in più di un’occasione è stato visto e gli è stata rivolta la parola nello stesso tempo in due luoghi diversi. La maggior parte dei suoi miracoli avvengono al servizio degli altri. Fatti straordinari come quelli che stiamo per elencare diventano un luogo comune quando si ha l’occasione di leggere la sua vita. Ridà la vita ad un ragazzo caduto da un’alta roccia; benedice lo scarsissimo raccolto di grano di una famiglia povera ed esso basterà loro fino alla prossima mietitura; varie volte moltiplica il pane che sta distribuendo ai poveri. Un giorno cammina attraversando le acque per guidare una barca piena di pescatori attraverso le onde tempestose e condurla a riva. Molte volte Gerardo svela alle persone i peccati nascosti che pesano sulla loro anima e che si sono vergognate di confessare, conducendole alla penitenza e al perdono.

Anche il suo apostolato miracoloso per le madri ha inizio quando è ancora in vita. Un giorno, mentre sta per lasciare la casa di amici suoi, la famiglia Pirofalo, una delle figlie lo richiama per dire che ha dimenticato il suo fazzoletto. In un attimo di percezione profetica Gerardo dice: “Tienilo. Un giorno ti sarà utile”. Il fazzoletto viene tenuto in prezioso ricordo di Gerardo. Anni dopo la ragazza al quale ha dato il fazzoletto si trova in pericolo di morte durante un parto. Si ricorda delle parole di Gerardo e chiede del fazzoletto. Quasi immediatamente cessa il pericolo e partorisce un bambino sanissimo. In un’altra occasione una madre chiede le preghiere di Gerardo perché è in pericolo insieme al bambino che porta nel seno. Entrambi usciranno sani e salvi dall’avventura.

Morte e glorificazione

Di salute cagionevole, era evidente che Gerardo non sarebbe vissuto a lungo. Nel 1755 viene colto da una violenta emorragia e dissenteria e la morte può sopravvenire in qualsiasi momento. Tuttavia ha ancora da insegnare una grande lezione sul potere dell’ubbidienza. Il suo direttore gli raccomanda di ristabilirsi se tale è la volontà di Dio; immediatamente la sua malattia sembra scomparire ed egli lascia il letto per raggiungere la comunità. Sa, tuttavia, che questa cura è soltanto temporanea e che gli rimane da vivere soltanto poco più di un mese.

Da lì a breve deve fare ritorno al letto e comincia a prepararsi alla morte. Si abbandona totalmente alla volontà di Dio. Sulla sua porta pone il seguente segno: “Qui viene fatta la volontà di Dio, come vuole Dio e fino a quando Egli così vuole”. Spesso gli si sente dire la seguente preghiera: “Mio Dio, desidero morire per fare la Tua santissima volontà”. Poco prima della mezzanotte, il 15 ottobre 1755, la sua anima innocente ritorna a Dio.

Alla morte di Gerardo, il Frate sagrestano, tutto eccitato, fa suonare la campana a festa invece di intonare il rintocco a morte. A migliaia vengono a fare visita al feretro del “loro santo” ed a cercare di raccogliere un ultimo souvenir di colui che tante volte è venuto loro in aiuto. Dopo la sua morte vengono riportati miracoli in quasi tutte le parti dell’Italia, tutti attribuiti all’intercessione di Gerardo. Nel 1893, il Papa Leone XII lo beatifica e l’11 dicembre 1904 il Papa Pio X lo canonizza santo.

Il Santo delle madri

A causa dei miracoli operati da Dio per merito della preghiera di Gerardo insieme alle madri, le mamme d’Italia hanno preso S. Gerardo a cuore facendo di lui il loro patrono. Al processo della sua beatificazione viene testimoniato che Gerardo era noto come “il santo dei parti felici”.

Migliaia di madri hanno potuto sperimentare il potere di S. Gerardo per mezzo della Lega di S. Gerardo. Molti ospedali dedicano il loro reparto di maternità al Santo e distribuiscono medaglie e santini di Gerardo con relativa preghiera alle loro pazienti. A migliaia di bambini è stato dato il nome Gerardo dai genitori convinti che è grazie all’intercessione del santo che i loro bambini sono nati. Perfino le bambine vengono chiamate con il suo nome, ed è interessante notare come “Gerardo” venga così trasformato in Gerarda, Geralina, Gerardina, Gerianna, e Gerardetta.

(cf. www.cssr.it)

Clemente Hofbauer

Uno sguardo alla vita di Clemente Hofbauer può insegnarci molto su un sogno che si realizza, sulla preghiera ed il servizio, sulla perseveranza nella vita cristiana, sul diventare santo vivendo alla giornata, sul come adoperare ogni attimo della vita al suo giusto scopo. Clemente non fu un operatore di miracoli, non fu un visionario, fu soltanto un grande e santo Redentorista che si pose al servizio del popolo di Dio offrendo il meglio delle sue capacità.

Nascita e vita da giovane

Il nostro santo nasce il giorno di Santo Stefano, 26 dicembre 1751, a Tasswitz, Moravia, nono di 12 figli nati a Maria e Paolo Hofbauer. Battezzato il giorno seguente, gli viene imposto il nome di Hansl, ossia Giovanni. E’ con questo nome che lo si conoscerà fino al giorno in cui si fa eremita e sceglie per se il nome di Clemente.

Il fratello maggiore del santo, Carlo, parte per unirsi alla cavalleria ungherese nella battaglia contro i Turchi. Hansl strepita di non essere abbastanza grande per vestire l’uniforme blu con ornamenti d’argento e il mantello di felpa con fodera rossa.

Ma i suoi sogni da maschietto hanno anche altre mire. Mentre serve la Messa immagina se stesso sacerdote all’altare, vestito dei paramenti sacerdotali, che conduce la gente nel grande atto della Chiesa di dare lode ed onore a Dio.

Alla fine l’ideale del sacerdozio vince su quello della carriera militare. Purtroppo, appartenente ad una famiglia povera, Hansl ha poca speranza di poter entrare in seminario oppure di entrare a far parte di un ordine religioso.

Comincia a studiare il latino nella canonica della parrocchia. Il parroco è un vecchio sacerdote a modo che riconosce nel giovane Hofbauer il seme della vocazione. Ogni giorno il giovane studente e l’anziano pastore si incontrano per studiare la lingua latina. E’ il primo passo del lungo cammino che condurrà Hansl al sacerdozio. Il periodo di studio termina di colpo con la morte del pastore quando Hansl è ormai quattordicenne. Al nuovo parroco manca il tempo per aiutarlo a studiare il latino.

Nell’impossibilità di continuare a studiare per il sacerdozio, Hansl deve imparare un mestiere. Nel 1767 viene mandato come apprendista in una panetteria e nel 1770 va a lavorare in una panetteria del monastero premonstratense dei Padri Bianchi di Kloster Bruck. All’epoca, gli effetti della guerra e della carestia stanno spingendo i senza tetto e gli affamati a bussare alle porte del monastero in cerca di aiuto. Hofbauer lavora giorno e notte per sfamare i poveri che bussano alla sua porta. Anche se questo non è il tanto agognato sacerdozio, è comunque per lui un’opportunità per aiutare il popolo di Dio che si trova in così grande bisogno.

Nel 1771, un viaggio in Italia conduce Hofbauer a Tivoli. Decide di diventare eremita nel sntuario di Nostra Signora di Quintiliolo e chiede al vescovo locale di poter ricevere l’abito di eremita. E’ qui che Hansl Hofbauer riceve il nome di Clemente Maria: Clemente dal vescovo di Ancira in Asia e Maria dalla Beata Vergine. L’eremita Clemente prega per se stesso e per tutti coloro che, nel mondo, dimenticano di pregare. Lavora nel santuario ed assiste i pellegrini che lo frequentano. Ma Clemente non vi trova la felicità, e lascia Quintiliolo poco meno di sei mesi dopo. Capisce quanto sia necessario pregare per la gente e lo considera un’opera buona, ma non è ancora quel sacerdozio che così tanto desidera.

Ritorna al monastero dei Padri Bianchi di Kloster Bruck e continua a cuocervi il pane, mentre riprende a studiare la lingua latina. Completa i suoi studi in filosofia nel 1776, ma non può andare oltre. L’Imperatore non ammette che i Padri Bianchi abbiano nuovi novizi. Per Clemente ancora una volta si chiude così la strada verso il sacerdozio.

Ritorna a casa e per due anni vive come eremita a Muehlfraun, costringendosi a severi digiuni, a dure penitenze e a lunghe vigilie di preghiera. Dietro le insistenze di sua madre, ancora una volta lascia l’eremo e si rimette a cuocere il pane. Questa volta trova lavoro presso una famosa panetteria di Vienna dove incontra due distinte signore che diventeranno le sue più grandi benefattrici.

Ormai ventinovenne, dopo essere stato panettiere in tre posti ed eremita in due, Clemente entra all’università di Vienna. Poiché il governo ha ormai chiuso tutti i seminari, gli studenti al sacerdozio sono costretti a studiare nelle università controllate dal governo. Clemente si sente frustrato dal contenuto dei corsi di religione che sono permeati di razionalismo ed altri aspetti ed insegnamenti vari. Imperterrito, continua a cercare le verità della fede e a perseguire il suo sogno: il sacerdozio.

Durante un pellegrinaggio nel 1784, Clemente ed il suo compagno di viaggio, Thaddeus Huebi, decidono di aderire ad una comunità religiosa. I due seminaristi vengono accolti nel noviziato Redentorista a San Giuliano, in Italia. Nella festa di San Giuseppe, il 19 marzo 1785, Clemente Hofbauer e Thaddeus Huebi diventano Redentoristi e professano pubblicamente di vivere i voti di povertà, castità ed ubbidienza. Dieci giorni dopo vengono ordinati sacerdoti nella Cattedrale di Alatri.

Pochi mesi dopo la loro ordinazione, i due Redentoristi stranieri sono convocati dal loro Superiore Generale, Padre de Paola. Sono chiamati a tornare nella loro patria al di là delle Alpi per stabilire una Congregazione Redentorista nel nord dell’Europa. Si tratta di un compito difficile e insolito per due uomini ordinati così di recente. Per Alfonso, questa diffusione della Congregazione oltre le Alpi è la prova certa che i Redentoristi sarebbero durati fino alla fine dei tempi. Per Clemente si tratta di un sogno diventato realtà.

Varsavia e S. Benno

La situazione politica non consente a Clemente di rimanere nel proprio paese. L’Imperatore austriaco che ha chiuso ormai più di 1000 monasteri e conventi non ha alcuna intenzione di concedere che un nuovo ordine religioso vi stabilisca una sua fondazione. Consci di questa realtà, i due Redentoristi si recano in Polonia. Nel febbraio del 1787 arrivano a Varsavia, una città di 124.000 abitanti. Anche se in essa vi sono 160 chiese e 20 monasteri e conventi, per molti versi si tratta quasi di un tugurio di senza-Dio. La gente è povera e priva di istruzione; le abitazioni cadono a pezzi. Molti hanno ormai abbandonato il cattolicesimo per diventare frammassoni. I fedeli cattolici e i loro ormai pochi buoni sacerdoti vivono in grande sofferenza. Per i prossimi 20 anni Clemente ed il suo piccolo gruppetto di sacerdoti e frati Redentoristi condividono questa sofferenza, per il Signore e per i fedeli della Polonia.

Quando Clemente vi giunge nel 1787, la Polonia sta vivendo un periodo di turbolenza politica. Il re Stanislao II è soltanto una marionetta nelle mani di Caterina II di Russia. Nel 1772 si era avuta una Prima Spartizione del paese – l’Austria, la Russia e la Prussia si erano spartiti il bottino. Un’altra spartizione avverrà il 1793, ed una terza nel 1795. Sopravviene Napoleone e la sua grande armata di conquista che, attraversando l’Europa, non manca di aumentare la tensione politica. Durante i ventun anni in cui Clemente permane a Varsavia, saranno pochi i momenti in cui prevarrà la pace.

Nel loro viaggio verso la Polonia, ai due sacerdoti Redentoristi si unisce Pietro (ora Emmanuele) Kunzmann, un compagno-panettiere che aveva accompagnato Hansl in un suo pellegrinaggio. Diventa il primo Redentorista frate in territorio non-italiano. Insieme giungono a Varsavia senza un denaro in tasca. Clemente ha ormai dato le tre ultime monete d’argento ad alcuni mendicanti incontrati per strada. I tre si incontrano con il delegato apostolico, l’Arcivescovo Saluzzo, che affida loro la Chiesa di S. Benno, per lavorare in mezzo alla gente di lingua tedesca che vive a Varsavia. I Redentoristi imparano questa nuova lingua ed espandono il loro apostolato in mezzo alla popolazione che vive nell’area di S. Benno.

Ogni volta che Clemente vede girare per strada qualche ragazzo senza-tetto lo conduce in canonica, lo ripulisce, gli dà da mangiare, gli insegna un mestiere, e lo istruisce nel modo di vivere cristiano. Quando ormai questi ragazzi diventano troppo numerosi Clemente apre il Rifugio del Bambin Gesà per i suoi ragazzi senza-tetto.

Per mantenerli nutriti e vestiti, è costretto a mendicare costantemente. Lo fa senza alcuna vergogna. Entra in una panetteria per comprare una pagnotta e vi trova un panettiere privo di assistente. Passerà l’intera giornata ad impastare e cuocere, mettendo a profitto le sue antiche esperienze di panettiere. Ottiene così il pane per i suoi ragazzi, per quel giorno e per molti altri a venire.

La leggenda vuole che in un’altra occasione, entrò a mendicare in un pub locale. Quando Clemente chiese un’offerta, uno dei gestori, con sdegno, gli sputò della birra in faccia. Ripulendosi della birra, Clemente rispose: “Questo è per me. Ora, cosa mi date per i miei ragazzi?” I clienti del pub rimasero talmente stupefatti per quella risposta davvero cristiana che Clemente in quell’occasione raccolse più di 100 monete d’argento.

Quando i Redentoristi aprono la loro Chiesa, si trovano a predicare a banchi vuoti. Troppe cose preoccupano la gente, allontanandola da Dio. Hanno difficoltà ad affidarsi a sacerdoti stranieri. Ci vorranno molti anni prima che i Redentoristi riescano a conquistare il cuore della popolazione, ma poi S. Benno diventerà un animatissimo centro della Chiesa cattolica in Varsavia.

Nel 1791, quattro anni dopo il loro arrivo, i Redentoristi trasformano il rifugio dei ragazzi in un’accademia. Aprono un pensionato per ragazze e ne affidano la direzione ad alcune nobili matrone di Varsavia. Il numero degli orfani è in costante aumento. Il denaro necessario per finanziare tutte queste attività provengono da alcuni benefattori regolari e da molta altra gente disponibile ad aiutare in vari modi; ma Clemente è tuttora costretto a mendicare di porta in porta per trovare l’aiuto necessario al sostegno dei suoi numerosi orfani.

In Chiesa, Clemente e la sua banda di cinque sacerdoti Redentoristi e tre fratelli laici danno inizio a ciò che chiamano la Missione Perpetua. Invece della sola messa mattutina in chiesa nei giorni lavorativi, viene stabilita una missione a tempo pieno per ogni giorno dell’anno. Se ti rechi a S. Benno in qualsiasi giorno dell’anno, sai che potrai assistere a cinque sermoni, in tedesco e in polacco. Ci sono poi tre Messe solenni, l’Ufficio alla Beata Vergine Maria, le visite al Ss. Sacramento, la via della Croce, i vespri, dei servizi di preghiera e le litanie. I sacerdoti sono disponibili per la confessione ad ogni ora del giorno e della notte.

Già nel 1800 sono riscontrabili notevoli sviluppi nella Chiesa e nella comunità redentorista. L’amministrazione dei sacramenti salta da 2.000 (nel 1787) a più di 100.000. A S. Benno operano ormai ben 21 sacerdoti Redentoristi e sette fratelli laici. Vi sono inoltre cinque novizi e quattro seminaristi polacchi.

Tutto ciò avviene in condizioni tutt’altro che ideali. Le tre spartizioni della Polonia sono state causa di un terribile spargimento di sangue. Kosciusco, il grande idealista che lotta per la libertà polacca, conosce i suoi momenti di gloria, ma il popolo non riesce a tenere gli attaccanti forestieri lontani per sempre. La battaglia tocca Varsavia durante la Settimana Santa del 1794. I Redentoristi, insieme a tutti gli altri residenti di quella città, si trovano in costante pericolo di vita. Tre bombe piombano dal tetto della chiesa ma non esplodono. Durante le battaglie che perversano, Clemente ed i suoi compagni continuano a predicare la pace. Ciò ad altro non serve che ad aumentare le urla di protesta contro i Redentoristi che già vengono tacciati di essere dei traditori.

Quasi fin dal principio vengono attaccati su due fronti. Politicamente sono degli stranieri. Possono anche mischiarsi fra la gente e darsi molto da fare, con un buono e santo lavoro, da veri preti. Possono avere cura di centinaia di orfani, celebrare migliaia di messe, ravvicinare decine di migliaia di persone a Dio, ma i Redentoristi tedeschi rimangono pur sempre un elemento straniero in un paese costantemente in guerra.

L’altro attacco è ancor più doloroso, E’ l’attacco personale sferrato di coloro che, abbandonando la Chiesa del loro battesimo, diventano frammassoni. Si riuniscono in gruppetti segreti e complottano contro i cattolici, per danneggiare i sacerdoti, fermare il culto pubblico e fare chiudere le chiese.

I Redentoristi debbono sempre tenere alta la guardia contro le imboscate. I loro nemici sono sempre in agguato per lanciare loro pietre o colpirli col bastone. Un giorno la morte bussa alla porta sotto forma di un pezzo di carne. Qualcuno regala un prosciutto ai Padri. Quattro sacerdoti moriranno di ptomaina a causa della carne avvelenata. Clemente deve superare quella terribile tragedia. Il numero dei Redentoristi diminuisce invece di crescere. Provvidenzialmente, quattro nuovi elementi si uniscono alla comunità poco dopo l’incidente, ma Clemente non dimenticherà mai i confratelli assassinati.

Ancora più doloroso per Clemente è la morte di Padre Thaddeus Huebl, suo compagno di classe e caro amico. Uebl viene chiamato al capezzale di un finto malato. Molte ore dopo viene buttato fuori da un carro lanciato ad alta andatura, dopo essere stato torturato e lacerato di colpi. Molti giorni dopo muore a causa delle ferite subite. Clemente soffre profondamente nel vedere l’amico uscire dalla sua vita. Oramai dovrà farcela da solo.

Gli attacchi continuano. I Redentoristi diventano oggetto di scherno nei teatri. I sacerdoti polacchi del luogo cercano perfino di fermare l’opera dei Redentoristi che hanno dedicato ben 20 anni a ricostruire la fede del popolo di Varsavia, eppure vengono attaccati, bistrattati, infastiditi. Nel 1806 una legge vieta ormai ai parroci locali di invitare i Redentoristi a predicare le missioni nelle loro parrocchie. Poi giunge la legge ancora più restrittiva che vieta ai Redentoristi di predicare e di confessare anche nella loro chiesa di S. Benno.

Contro queste azioni Clemente si appella direttamente al Re della Sassonia che all’epoca governa la Polonia. Seppure a conoscenza del bene che i Redentoristi stanno facendo, questi non è in grado di fermare i molti frammassoni e giacobini che vogliono cacciare i Redentoristi dalla Polonia. Il 9 giugno 1808 viene firmato il decreto di espulsione. Undici giorni dopo la Chiesa di S. Benno viene chiusa ed i 40 Redentoristi che ne erano al servizio vengono condotti in prigione, dove sono trattenuti per quattro settimane per poi sentirsi intimare l’ordine di ritornare nei loro paesi.

Vienna: un nuovo inizio

Nel mese di settembre 1808, dopo l’esilio dalla Polonia, Clemente arriva a Vienna. Vi rimarrà fino alla sua morte, all’incirca 13 anni dopo. Nel 1809, quando le forze napoleoniche attaccano Vienna, Clemente, come cappellano ospedaliero, cura i soldati feriti. L’arcivescovo del luogo nota lo zelo di Clemente e gli chiede di occuparsi di una piccola chiesa italiana della città di Vienna. Clemente vi rimane per quattro anni, per poi essere nominato cappellano delle Suore Orsoline nel mese di luglio 1813.

Nella cura che dedica al benessere spirituale delle Suore e dei laici che accorrono alla loro cappella, la vera santità di Clemente diventa sempre più ovvia. La riverenza con cui si avvicina a quell’altare palesa il fatto che è uomo di fede. Dal pulpito le sue labbra pronunciano le parole che la gente ha bisogno di sentire. Predica affinché possano rendersi conto dei loro peccati, capire la bontà di Dio, e vivere la loro vita secondo la volontà di Dio. Ma se dal pulpito ruggisce come un leone, nel confessionale diventa un agnellino. Ascolta i peccati dei penitenti, riesce sempre a trovare un messaggio di incoraggiamento, chiede a Dio di perdonarli, e li congeda affinchè riprendano il loro cammino.

All’inizio degli anni 1800, Vienna è uno dei centri culturali più importanti d’Europa. Clemente ha piacere di passare del tempo con gli studenti e con gli intellettuali del luogo. Gli studenti vengono – separatamente oppure in gruppi – a trovarlo nei suoi alloggi, per parlare, condividere un pasto, cercare consigli. Fra questi, molti diventeranno poi Redentoristi. Riconduce molti personaggi ricchi, ed esponenti dell’arte alla Chiesa, ivi compresi Frederick and Dorothy von Schlegel (figlia di Mendelssohn, fondatore della scuola romanticista); Frederick von Klinkowstroem, l’artista; Joseph von Pilat, segretario privato di Metternich; Frederick Zachary Werner, che poi, una volta sacerdote, diventerà un grande predicatore; e Frederick von Held, che, diventato Redentorista porterà la Congregazione fino a raggiungere l’Irlanda.

A Vienna Hofbauer si vede nuovamente attaccato. Per un po’ di tempo gli viene vietato di predicare. Viene minacciato di essere espulso perché si è messo in contatto con il suo Superiore Generale Redentorista, di Roma. Ma perché l’espulsione possa ufficializzarsi deve essere firmato dall’Imperatore Franz d’Austria. Ma all’epoca l’Imperatore è in pellegrinaggio a Roma, dove rende visita al Papa Pio VII; viene così a sapere quanto l’opera di Hofbauer sia apprezzata. Apprende anche come ricompensare Hofbauer per i suoi anni di dedicato servizio, concedendogli di aprire una fondazione Redentorista in Austria.

Così, invece del bando di espulsione, a Hofbauer viene concesso un’udienza con l’Imperatore Franz. I piani vengono stabiliti in fretta. Si sceglie una chiesa e la si ristruttura per farla diventare la prima fondazione Redentorista in Austria. Ma purtroppo sarà avviata senza Clemente. Ammalatosi nei primi giorni di marzo 1820, muore il 15 marzo di quell’anno. Come Mosé nelle Scritture ebraiche, ha condotto il suo popolo fino alla Terra Promessa ma non ha potuto vivere abbastanza a lungo per entrarvi. Muore comunque con una gratificazione: quella di sapere che il suo secondo sogno è stato realizzato.

Conclusione

Clemente Hofbauer è stato beatificato il 29 gennaio 1888 da Papa Leone XIII, e canonizzato santo della Chiesa cattolica il 20 maggio 1909. Nel 1914, Papa Pio X gli concede il titolo di Apostolo e Patrono di Vienna. Oggi, a più di 150 anni dalla sua morte, la festa annuale di S. Clemente viene ricordata in modo specialissimo dalla popolazione di Vienna e dai seimila sacerdoti e Frati nel mondo intero che vestono l’abito Redentorista come lo fece S. Clemente.

Che cosa ha fatto di Clemente Hofbauer un santo? Non ha fatto alcun miracolo che potesse stupire, non ha avuto né visioni né estasi che potessero colpire. Aveva perfino alcuni difetti – un temperamento tedesco irascibile, la tendenza ad essere burbero. Ma se ci fosse stato dato di stare alcune ore alla sua presenza, avremmo scoperto che era un uomo di fede straordinariamente salda, un uomo di calma e di pace straordinaria, un uomo capace di lavorare per il bene delle anime senza stancarsi mai.

Caratteristica principale della sua santità è la semplicità. Accettava la volontà di Dio così come essa si manifestava a lui, facendo tutto il bene di cui era capace. Condusse una vita di innocenza e di servizio dedicandosi alla gloria di Dio e ad indurre gli altri a servirLo. Proprio nel modo molto semplice in cui è diventato santo, San Clemente rimane un modello per tutti noi.

(cf. www.cssr.it)

Giovanni Neumann

Vescovo di Filadelphia, Pensilvania, USA, nato a Prachatitz in Boemia il 28 marzo 1811, figlio di Filippo Neumann e Agnes Lebis. Frequenta la scuola a Budweis e vi entra nel seminario nel 1831.

Due anni dopo si trasferisce all’università Charles Ferdinand a Praga, dove studia teologia.

Spera di essere ordinato nel 1835, ma ecco, il vescovo decide che non vi saranno altre ordinazioni. Oggi è difficile immaginare la cosa, ma all’epoca la Boemia era gremita di sacerdoti. Giovanni scrive a tutti i vescovi d’Europa ma la storia si ripete ovunque. Nessuno vuole altri sacerdoti. Giovanni è convinto di essere chiamato al sacerdozio ma tutte le porte che conducono alla vocazione sembrano chiuderglisi in faccia.

Giovanni non rinuncia. Ha imparato l’inglese lavorando in una fabbrica dove i lavoranti parlavano l’inglese. Così scrive ai vescovi in America. Finalmente un vescovo di New York accetta di ordinarlo. Per poter seguire la chiamata di Dio al sacerdozio Giovanni è costretto a lasciare per sempre la sua madre patria e ad attraversare l’atlantico per recarsi in una terra nuova e ancora aspra.

A New York, Giovanni diventa uno dei 36 sacerdoti a servizio di 200.000 cattolici. La sua parrocchia, nella parte occidentale dello stato di New York si estende dal lago Ontario alla Pensilvania. La sua chiesa non ha né campanile né pavimento, ma poco importa perché Giovanni è quasi sempre per via e si sposta di villaggio in villaggio, scalando le montagne per rendere visita ai malati, trovando riparo nelle soffitte e nelle taverne ove insegna, e celebrando la Messa su tavole di cucina.

La mole del suo lavoro è tanta e la sua parrocchia è molto isolata. Giovanni sente il desiderio di appartenere ad una comunità e entra a fare parte dei Redentoristi, una congregazione di sacerdoti e frati dedicata ad aiutare i poveri e più abbandonati.

Primo fra i sacerdoti ad entrare nella Congregazione in America, prende i voti a Baltimora il 16 gennaio 1842. Fin dall’inizio i suoi compagni religiosi lo stimano moltissimo per la sua santità evidente, per il suo zelo e la sua affabilità. La sua conoscenza di ben sei lingue moderne lo rende particolarmente adatto a lavorare nella società multilingua americana del XIX secolo.

Lavora a Baltimora e a Pittsburgh, e nel 1847 viene nominato Visitatore o Superiore Maggiore dei Redentoristi negli Stati Uniti.

Padre Frederick von Held, Superiore della provincia belga alla quale le case Americane appartengono, dice di lui: “E’ un grand’uomo in cui la pietà si unisce ad una personalità forte e prudente”. Ha un gran bisogno di queste qualità durante i due anni in cui regge quell’ufficio, poiché la fondazione americana sta attraversando un periodo di aggiustamento molto provato.

Quando depone il suo incarico nelle mani di Padre Bernard Hafkenscheid, i Redentoristi degli Stati Uniti saranno ormai meglio preparati a diventare una provincia autonoma, il che avverrà nel 1850.

Padre Neumann viene nominato vescovo di Filadelfia ed è consacrato a Baltimora il 28 marzo 1852. La sua diocesi è enorme e sta attraversando un periodo di notevole sviluppo.

Come vescovo, fu il primo ad organizzare un sistema diocesano di scuola cattolica. Fondatore dell’educazione cattolica in questo paese, egli fece passare il numero delle scuole cattoliche nella sua diocesi da 2 a 100.

Fondò le Sorelle del Terzo Ordine di san Francesco per l’insegnamento nelle scuole.

Tra le oltre 80 chiese costruite durante il suo episcopato va menzionata la cattedrale dei SS. Pietro e Paolo, da lui iniziata.

San Giovanni Neumann era piccolo di statura, dalla salute neanche robusta, ma nella sua breve vita riuscì a realizzare molte cose. Trovò perfino tempo per una ragguardevole attività letteraria, pur in mezzo ai suoi doveri pastorali.

Oltre a numerosi articoli in giornali e riviste cattoliche pubblicò due catechismi e nel 1849 una storia della Bibbia per le scuole.

Continuò ad essere attivo fino alla fine.

Il 5 gennaio 1860, a 48 anni di età, cadde esanime in una delle strade della sua città episcopale e morì prima che gli fossero somministrati gli ultimi Sacramenti.

Fu beatificato da Papa Paolo VI il 13 ottobre 1963 e canonizzato il 19 giugno 1977.

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Beato Gennaro Sarnelli

Gennaro Maria Sarnelli, figlio del Barone di Ciorani, nasce a Napoli il 12 settembre 1702.

A 14 anni, in seguito alla beatificazione di Francesco Regis, decide di diventare gesuita. Il padre lo dissuade ritenendolo troppo giovane, e Gennaro intraprende gli studi di giurisprudenza, che termina prendendo il dottorato in diritto ecclesiastico e civile nel 1722. Distinguendosi alla sbarra, viene arruolato nella Congregazione dei Cavalieri delle Professioni di Diritto e di Medicina, diretta dai Pii Operai di S. Nicola di Toledo. Fra le regole di questa Associazione vi è l’obbligo di assistere i malati dell’Ospedale degli Incurabili. E’ qui che Gennaro si sente chiamato al sacerdozio dal Signore.

Nel settembre 1728 diventa seminarista e viene incardinato dal Cardinal Pignatelli come chierico nella parrocchia di S. Anna di Palazzo. Per poter studiare in pace, diventa ospite del collegio della Santa Famiglia, meglio noto come il Collegio cinese, fondato da Matteo Ripa. L’8 aprile dell’anno seguente lascia il collegio cinese per iniziare, il 5 giungo, il suo noviziato presso la Congregazione delle Missioni Apostoliche.

Il 28 maggio 1731 conclude il noviziato e l’8 luglio dell’anno seguente ascende al sacerdozio Durante tutti questi anni, oltre alle visite all’ospedale, si dedica ad aiutare i bambini costretti a lavorare, insegnando loro il catechismo. Visita gli anziani nell’Ospizio di S. Gennaro ed i galeotti malati che giacciono nell’ospedale del porto. E’ questo anche il periodo in cui si sviluppa la sua amicizia con S. Alfonso de Liguori ed il suo apostolato. Insieme si dedicano ad insegnare il catechismo ai laici ed organizzano le cappelle serotine.

Dopo la sua ordinazione il Cardinal Pignatelli assegna Gennaro alla Direzione dell’Istruzione Religiosa nella parrocchia dei Ss. Francesco e Matteo, nel quartiere spagnolo. Quando si accorge della corruzione che imperversa fra le giovanette, decide di spendere tutte le sue energie alla lotta contro la prostituzione. Nello stesso periodo (1733) difende S. Alfonso dalle ingiuste critiche subite da quest’ultimo dopo la fondazione, il 9 novembre 1732, della Congregazione missionaria del Ss. Redentore in Scala (SA); Nel mese di giugno dello stesso anno, dopo essere andato a Scala per aiutare l’amico durante una missione a Ravello, decide di diventare Redentorista pur continuando ad essere membro delle Missioni Apostoliche. Dal giorno del suo ingresso nella Congregazione, nell’aprile del 1736, si impegnerà senza risparmio, nelle missioni parrocchiali e scrivendo a difesa delle “giovanette in pericolo”. Scrive anche sulla vita spirituale e si affatica tanto da giungere fino alla soglia della morte. Con il consenso di S. Alfonso torna a Napoli per farsi curare e lì rinnova il suo apostolato per salvare le prostitute.

Oltre a dedicarsi all’apostolato redentorista e a quello delle Missioni Apostoliche, promuove la meditazione comunitaria fra i laici pubblicando “Il mondo santificato”. Con un altro suo libro promuove una campagna contro la blasfemia. Nel 1741 pianifica e partecipa alle grandi missioni predicate nei sobborghi di Napoli in preparazione alla visita canonica del Cardinal Spinelli. Malgrado il suo stato di salute permanentemente cagionevole continua a predicare fino alla fine di aprile 1741 quando, ormai molto malato, torna a Napoli dove muore il 30 giugno a 42 anni. Le sue spoglie riposano a Ciorani, la prima Chiesa Redentorista. Gennaro Sarnelli ci ha lasciato in eredità ben 30 opere dedicate alla meditazione, alla teologia mistica, alla direzione spirituale, al diritto, alla pedagogia, alla morale e a tematiche pastorali. La sua attività sociale a favore delle donne gli ha meritato di essere considerato fra gli autori che più autorevolmente hanno affrontato la materia nell’Europa della prima metà del diciottesimo secolo.

Il 12 maggio 1996, il Papa Giovanni Paolo lo beatifica in Piazza S. Pietro.

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Beato Pietro Donders

Pietro Donders nasce a Tilburg, Olanda, il 27 ottobre 1809 da Arnold Denis Donders e Petronella van den Brekel. Poiché la famiglia è povera i loro due figli non possono dedicarsi allo studio ma debbono lavorare per aiutare la famiglia. Tuttavia, fin dall’infanzia Pietro nutre il desiderio di diventare sacerdote. Avviene che, con l’aiuto del clero della sua parrocchia, a vent’anni Pietro può iniziare gli studi al Seminario Minore. Passato il tempo dovuto, viene ordinato sacerdote il 5 giugno 1841.

Mentre si impegna negli studi della teologia in seminario, i suoi superiori lo orientano verso le missioni di una colonia olandese del Suriname. Giunge a Paramaribo, città principale della colonia, il 16 settembre 1842 e si dedica subito alle opere pastorali che lo manterranno impegnato fino alla sua morte. I primi compiti comprendono delle visiti regolari alle piantagioni lungo i fiumi della colonia, dove predica e amministra i sacramenti soprattutto agli schiavi. Le sue lettere esprimono la sua indignazione per il duro trattamento subito dalle popolazioni africane costrette a lavorare nelle piantagioni.

Nel 1856 viene mandato ad una stazione di lebbrosi a Batavia; salvo pochissime interruzioni, sarà ormai lo scenario del suo operare per il resto della sua vita. Nella sua carità non solo provvede a rifornire i suoi pazienti dei benefici della religione, ma si dedica a curarli personalmente, fino a quando non riesce a persuadere le autorità a provvedere ad adeguati servizi sanitari. Riesce, in vari modi, a migliorare le condizioni dei lebbrosi, soprattutto per merito dell’energia instancabile con la quale pone le loro necessità all’attenzione delle autorità coloniali. Quando, nel 1866, giungono i Redentoristi per prendersi carico della missione di Suriname, Padre Donders insieme ad uno dei suoi confratelli sacerdoti chiede di essere ammesso nella Congregazione.

I due candidati fanno il loro noviziato sotto il Vicario Apostolico, il Vescovo Giovanni Battista Winkels e prendono il voto il 24 giugno 1867. Immediatamente il Padre Donders ritorna a Batavia. Poiché ormai può contare sull’assistenza dei lebbrosi, può dedicare del tempo ad un’opera che da lunga data desidera intraprendere. Come Redentorista, la sua attenzione si rivolge ora alle popolazioni indiane di Suriname. Si dedicherà a quest’opera fino alla sua morte. Comincia ad imparare le lingue native e ad istruire gli indiani alla fede cristiana, fino a quando le forze lo abbandoneranno e sarà costretto a lasciare nelle mani di altri l’opera alla quale ha dato inizio.

Nel 1883 il Vicario Apostolico, volendo sollevarlo dai pesanti incarichi che ha svolto per così lungo tempo, lo trasferisce a Paramaribo e poi a Coronie. Tuttavia, nel novembre del 1885 ritorna a Batavia. Vi riprende le occupazioni d’un tempo fino a quando la sua salute ormai cagionevole lo costringe ad allettarsi nel dicembre del 1886. Vivrà ancora per due settimane. La sua morte sopravviene il 14 gennaio 1887. Poiché la sua fama di santità si sparge oltre ai confini di Suriname ed alla sua Olanda natia, la sua causa viene introdotta a Roma. Il 23 maggio 1982 viene beatificato dal Papa Giovanni Paolo II.

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Beato Francesco Saverio Seelos

Francesco Saverio Seelos nasce l’11 gennaio 1819 a Füssen, Baviera, Germania. Viene battezzato lo stesso giorno nella chiesa parrocchiale di St. Mang. Fin dall’infanzia esprime il desiderio di diventare sacerdote ed entra nel seminario diocesano nel 1842 dopo aver completato gli studi in filosofia. Non appena incontra i missionari della Congregazione del SS. Redentore, fondato allo scopo di evangelizzare i più abbandonati, decide di entrare nella congregazione e di mettersi al servizio degli immigranti di lingua tedesca negli Stati Uniti. Viene accolto nella Congregazione il 22 novembre 1848 e salpa l’anno seguente da Le Havre, Francia, per giungere a New York il 20 aprile 1843.

Il 22 dicembre 1844, completato il noviziato e terminati gli studi in teologia, Seelos viene ordinato sacerdote nella Chiesa redentorista di St. James a Baltimora, Maryland, U.S.A. Dopo la sua ordinazione, lavora per nove anni nella parrocchia di St. Filomena a Pittsburgh, Pennsylvania, prima in qualità di vice-parroco con S. Giovanni Neumann, superiore della Comunità Religiosa, poi come Superiore egli stesso, ed infine ancora tre anni come parroco. Durante questo periodo, diventa anche Maestro dei Novizi Redentoristi. Con Neumann si dedica a predicare le missioni. Seelos così commenta il suo rapporto con Neumann: “Mi ha introdotto alla vita attiva”, e “mi ha guidato come mio direttore spirituale e confessore”. La sua disponibilità e i suoi innati modi gentili, la sua attenzione ai bisogni dei fedeli fanno presto di lui una figura ben nota come confessore esperto e direttore spirituale, tanto che vengono a lui anche da altre città vicine.

Fedele al carisma Redentorista, pratica uno stile di vita modesto e si esprime con parole semplici. Le tematiche delle sue predicazioni, ricche di contenuto biblico, sono facili da capire anche per la gente più semplice. Una costante nel suo impegno è la sua dedizione ad istruire i piccoli alla fede. Non soltanto caldeggia questo ministero, ma lo ritiene fondamentale per la crescita della comunità cristiana nella parrocchia. Nel 1854 viene trasferito da Pittsburgh a Baltimora, poi a Cumberland nel 1857 e a Annapolis nel 1862, sempre impegnato nel servizio parrocchiale e dedito alla formazione dei futuri Redentoristi in qualità di Prefetto degli Studenti. Anche qui, è fedele alla sua immagine e rimane pastore, cortese e felice, sempre attento alle necessità dei suoi studenti e premuroso per la loro formazione dottrinale. Si dedica soprattutto ad infondere in questi futuri missionari Redentoristi, l’entusiasmo, lo spirito di sacrificio e lo zelo apostolico per il benessere spirituale e temporale della gente.

Nel 1860 viene proposto come candidato per l’ufficio di Vescovo di Pittsburg. Il Papa Pio IX lo libera da questa responsabilità gravosa e dal 1863 al 1866 Padre Seelos si dedica alla vita di missionario errante predicando in inglese ed in tedesco negli stati del Connecticut, Illinois, Michigan, Missouri, New Jersey, New York, Ohio, Pennsylvania, Rhode Island e Wisconsin.

Dopo un breve periodo di ministero parrocchiale a Detroit, Michigan, nel 1866 viene assegnato alla comunità Redentorista di New Orleans, Luisiana. Anche qui, parroco della Chiesa di S. Maria Assunta, è per i fedeli un parroco gioioso, disponibile e singolarmente sensibile alle necessità dei più poveri e dei più abbandonati. Ma nei piani di Dio questo ministero a New Orleans è destinato a durare poco. Nel mese di settembre, esausto dopo aver visitato e curato le vittime di un’epidemia di febbre gialla, contrae il terribile morbo. Dopo varie settimane di malattia che subisce con santa rassegnazione, passa alla vita eterna il 4 ottobre 1867, all’età di 48 anni e 9 mesi.

Sua Santità il Papa Giovanni Paolo II proclamerà Padre Francesco Saverio Seelos Beato in Piazza San Pietro il 9 aprile del Solenne Anno Giubilare 2000.

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Beato Gaspare Stanggassinger

“I santi hanno delle intuizioni speciali”, scrisse Padre Stanggassinger. Ciò che importa a me, che non sono un santo, sono le verità eterne: l’Incarnazione, la Redenzione e la Santa Eucarestia”.

Gaspare Stanggassinger, nato nel 1871 a Berchtesgaden, nel sud della Germania, è il secondogenito di 16 figli. Suo padre, uomo rispettato da tutti, è un contadino proprietario di una cava di pietra.

Da giovane cresce in lui il desiderio di diventare sacerdote. Da piccolo gioca ad essere prete e “predica” brevi sermoni ai suoi fratelli e sorelle, conducendoli in processione ad una cappella fra i monti che circondano la sua casa.

A dieci anni viene mandato a Freising per continuarvi la sua educazione scolastica. Ha difficoltà con gli studi. Il padre gli dice che se non supererà gli esami dovrà lasciare la scuola. Con volontà ferma, una dedizione notevole e totale fedeltà alla preghiera, progredisce costantemente. Negli anni che seguono, durante le vacanze comincia a riunire intorno a se dei gruppetti di ragazzi per incoraggiarli alla vita cristiana, formare una comunità ed organizzare il loro tempo libero. Ogni giorno il gruppo frequenta la S. Messa, si dilunga in passeggiate o intraprende qualche pellegrinaggio. La dedizione di Gaspare per questi ragazzi è ammirevole e va fino a rischiare la vita per salvare uno di loro durante una scalata in montagna.

Entra nel seminario diocesano di Monaco e Freising nel 1890 ed intraprende gli studi di teologia. Per meglio discernere la volontà di Dio si impone un rigoroso itinerario di preghiera. Ben presto capisce che il Signore lo sta chiamando alla vocazione religiosa. Di fatto, dopo una sua visita ai Redentoristi, ispirato a seguire la loro vocazione missionaria, malgrado suo padre vi si opponga entra nel noviziato Redentorista a Gars nel 1892. Viene ordinato sacerdote a Regensburg nel 1895. Gaspare Stanggassinger entra a far parte della Congregazione del SS. Redentore con l’intenzione di diventare missionario. Tuttavia, i suoi superiori gli assegnano l’incarico di formare i futuri missionari in qualità di vice-direttore del seminario minore di Durrnberg, nei pressi di Hallein. Si dedica totalmente a questa responsabilità.

Come religioso aveva fatto voto di ubbidienza e vive questo voto in modo chiaro e coerente

Ogni settimana dedica ben 28 ore all’insegnamento nell’aula, eppure rimane sempre disponibile ai ragazzi. La domenica non manca mai di aiutare nelle chiese dei villaggi circostanti, soprattutto predicando. Malgrado la grande mole dei suoi impegni, rimane paziente e attento alle necessità altrui, soprattutto degli studenti che vedono in lui un amico più che un superiore. Benché all’epoca le regole di formazione siano molto severe, Gaspare non agisce mai con azprezza, e quando gli sorge il dubbio di aver fatto un torto a qualcuno, non esita mai a chiedere umilmente scusa.

Profondamente devoto a Gesù eucaristico, invita i ragazzi ed i laici ai quali va predicando a ricorrere al Santissimo Sacramento in tempi di bisogno e di ansia. Li incoraggia a rivolgersi a Cristo, per adorarLo e dialogare con Lui come con un amico. La sua predicazione è per i fedeli un costante invito a prendere la vita cristiana sul serio, a crescere nella fede per mezzo della preghiera e di una continua conversione. Il suo stile è diretto ed attraente, privo di quei toni minacciosi così comuni nella predicazione dell’epoca.

Nel 1899 i Redentoristi aprono un nuovo seminario in Gars. Padre Stanggassinger vi viene trasferito come direttore. Ha 28 anni. Avrà soltanto il tempo di predicare un ritiro agli studenti e di partecipare all’apertura dell’anno scolastico.

Il 26 settembre il suo itinerario terreno termina a causa di una peritonite.

La causa per la sua Beatificazione ha inizio nel 1935 con la traslazione del suo corpo nella cappella laterale dela Chiesa di Gars.

Il 24 aprile 1988 viene proclamato “Beato” dal Santo Padre Giovanni Paolo II.

Beato Domenico Metodio Trãka

Il 24 aprile 2001, alla presenza del Santo Padre, è stato promulgato il Decreto di Martirio per cinque Redentoristi, quattro Ucraini ed uno Ceco.

Il Ceco, Beato Domenico Metodio Trãka nasce il 6 luglio 1886 a Frydlant nad Ostravici, in Moravia, ora Republica Ceca. Nel 1902 si unìsce ai Redentoristi e nel 1903 ha inizio il suo noviziato.

Fa la sua professione il 25 agosto 1904. Completati gli studi, viene ordinato a Praga il 17 luglio 1910.

Dedica i suoi primi anni di sacerdozio a predicare le missioni parrocchiali. Nel 1919 viene mandato a lavorare fra i greci-cattolici prima nella zona di Halic, in Galizia, poi in Slovacchia, nell’Eparchia di Pre‰ov, dove svolge un’intensa attività missionaria. Nel marzo 1935 viene nominato dalla Congregazione per le Chiese Orientali visitatore apostolico dei monaci di San Basilio a Pre‰ov e Uzhorod. Quando viene fondata la vice-provincia di Michalovce, Padre Trãka diventa vice-provinciale il 23 marzo 1946. Inizia il suo zelo per fondare nuove case e formare giovani Redentoristi.

Durante la notte del 13 aprile 1950, il governo ceco sopprime tutte le comunità religiose. Dopo un giudizio sommario, Padre Trãka viene condannato a 12 anni di prigione, durante i quali y soggetto di lunghi interrogatori e di torture. Nel 1958 viene trasferito nella prigione di Leopoldov. Quando viene punito con cella di isolamento per aver cantato un canto natalizio, vi contrae una polmonite e muore il 23 marzo 1959.

Viene seppellito dapprima nel cimitero della prigione, ma dopo la liberazione della Chiesa greco-cattolica, il 17 ottobre 1969 i suoi resti vengono trasferiti nell’area Redentorista del cimitero di Michalovce

Il 4 novembre 2001 il Papa Giovanni Paolo II proclama il Padre Domenico Metodio beato.

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Beato Mykolay Charnetsky

Mykolay Charnetskyi nasce in una grande e pia famiglia di agricoltori il 14 dicembre 1884, nel villaggio di Semakivka, nell’Ucraina occidentale. Mykolay è il primo di nove figli. Riceve la sua educazione elementare nel villaggio di Tovmach, poi entra nel ginnasio S. Nicola a Stanislaviv (ora Ivano-Frankivsk).

Mykolay scopre la sua vocazione al sacerdozio in tenera età e ben presto dichiara la sua intenzione di diventare sacerdote. Nel 1903 il vescovo Hryhoriy Khomyshyn lo manda a Roma per studiare. Durante la breve visita di Charnetskyi in Ucraina, il vescovo lo ordina sacerdote il 2 ottobre 1909. P. Mykolay fa poi ritorno a Roma per continuare gli studi, e vi ottiene il dottorato in teologia.

Dal 1910 P. Charnetskyi è professore di filosofia e di teologia dogmatica al seminario di Stanislaviv. E’ anche Direttore spirituale dello stesso seminario. Ma nel profondo del cuore anela alla vita monastica. Pertanto, nell’ottobre del 1919 entra nel noviziato di Zboiska vicino a Lviv, e l’anno dopo, il 16 ottobre 1920, professa i voti di Redentorista.

Pieni di desiderio di operare per la riconciliazione dei cristiani e di convertire il popolo ormai spiritualmente abbandonato, nel 1926 i Redentoristi della Provincia di Lviv fondano un centro missionario a Kovel nella regione di Volhyn. Poiché Padre Charnetskyi è un missionario ardente, viene mandato in quel centro. Ben presto si merita un enorme rispetto da parte della popolazione locale e perfino quello del clero ortodosso. Padre Mykolay apre un monastero ed una chiesa a Kovel, e si impegna al massimo per preservare la purezza del rito liturgico orientale. Nel 1931, il Papa Pio XI prende atto dell’opera devota di Padre Charnetskyi e lo nomina vescovo titolare di Lebed e Visitatore Apostolico per i cattolici ucraini delle regioni di Volhyn e di Pidliashsha. Queste regioni divennero il campo dell’attività di P. Charnetskyi per circa 14 anni, prima in qualità di missionario, poi come vescovo.

Come primo vescovo ucraino Redentorista fin dall’inizio della sua attività sperimenta la persecuzione. Durante l’occupazione sovietica dell’Ucraina occidentale nel 1939, i Redentoristi sono costretti a lasciare la regione di Volhyn, ed il vescovo Charnetskyi si trasferisce a Lviv nel monastero Redentorista di via Zyblykevycha (ora Ivana Franka).

Alla riapertura dell’Accademia Teologica di Lviv nel 1941, il Vescovo Mykolay diventa professore di filosofia, psicologia e teologia morale della facoltà. La sua calma, fondata su una fede forte ed imperturbabile, il suo spirito di ubbidienza e di preghiera, sono per gli studenti un buon motivo per considerarlo un sant’uomo. Il Vescovo Mykolay Charnetskyi rappresenta per loro la figura esemplare del monaco e della persona virtuosa.

Nel 1944 le truppe sovietiche penetrano nella Galizia per la seconda volta. Ha così inizio la via dolorosa del vescovo Charnetskyi. L’11 aprile 1945 viene arrestato e tenuto nella prigione della polizia segreta sovietica in via Lonskoho. Il vescovo vi soffre varie afflizioni: interrogatori nel cuore della notte, bastonate crudeli e torture varie. Poi viene trasferito a Kiev, dove subirà un altro anno di sofferenze – fino a quando il suo caso non verrà portato davanti alla corte. Il Vescovo Mykolay Charnetskyi viene condannato a dieci anni di prigionia per il crimine di essere un “agente del Vaticano”. Trascorre questo termine insieme al Metropolita Yosyf Slipyi, prima nella città di Mariinsk nella regione di Kemeroc (Siberia), poi in alcune altre prigioni.

Secondo fonti attendibili, durante il periodo della sua prigionia (dal suo arresto a Lviv nell’aprile 1945 fino al suo rilascio nel 1956), il Vescovo Charnetskyi subisce in tutto 600 ore di torture ed interrogatori, e vive la sua prigionia in 30 prigioni e campi vari. Malgrado tutte queste sofferenze, il vescovo riesce sempre a trovare una parola di consolazione per i suoi compagni prigionieri. Li conforta moralmente e li conosce tutti per nome. Non stupisce il fatto che il vescovo Charnetskyi fosse così popolare fra i prigionieri: era per loro l’unica fonte di consolazione.

Il vescovo Mykolay Charnetskyi trascorre gli ultimi anni della sua prigionia in un ospedale della prigione di Mordovia. Nel 1956 la sua salute decade fino al punto che i dottori non nutrono più alcuna speranza di vederlo sopravvivere. Si è già provveduto a cucire per il vescovo Charnetskyi la veste speciale prevista per la sepoltura dei prigionieri. Vista la sua condizione disperata e per evitare di essere incolpata della morte del vescovo, l’amministrazione della prigione decide di rilasciarlo e di mandarlo a Lviv. Dopo il suo ritorno a Lviv nel 1956, avendo contratto l’epatite ed una quantità di altre malattie, il vescovo Mykolay Charnetskyi viene immediatamente ospedalizzato. Tutti pensano che ben presto morirà. Ma altri sono i piani del Signore. Decide di prolungare la vita di un uomo di fede della cui opera la Chiesa ucraina ha così tanto bisogno. Il vescovo guarisce e si trasferisce in un appartamento, al n. 7 di Via Vechirnia, insieme a Fr. Klymentiy, C.Ss.R. Lì il Vescovo Charnetskyi continua il suo apostolato di perseveranza e di preghiera. Dedica la maggior parte del suo tempo alla preghiera e alla lettura. Chi lo visita durante quel periodo testimonia di averlo trovato spesso in stato di estasi. Durante la sua permanenza a Lviv, il Vescovo Charnetskyi rimane fedele alla sua missione di Buon Pastore e sostiene spiritualmente i suoi confratelli, prepara candidati al sacerdozio ed ordina più di dieci sacerdoti.

Purtroppo, la guarigione “miracolosa” del vescovo Charnetskyi non dura a lungo. Il 2 aprile 1959 il vescovo muore in odore di santità. Le sue ultime parole sono un grido di aiuto rivolto a Nostra Signora del Perpetuo Soccorso. I funerali del vescovo si svolgono il 4 aprile 1959. La descrizione del suo funerale, conservata nell’archivio della Provincia CSsR di Yorkton (Canada) termina con le seguenti parole: “Tutti riteniamo che verrà il giorno della sua canonizzazione – perché egli fu davvero un santo vescovo”.

Chiunque ha conosciuto il vescovo Mykolay Charnetskyi testimonia unanimemente della sua santità. Non sorprese pertanto il fatto che immediatamente dopo la sua morte molta gente cominciò a rivolgergli le proprie preghiere. Davanti alla tomba del vescovo, nel cimitero di Lychakiv, è facile notare questa impressione di santità e di potere di intercessione di fronte a Dio. Sono tante le persone che visitano il luogo di sepoltura del Vescovo Charnetskyi per ottenere la sua intercessione quando pregano Dio per vari scopi. Una donna alla quale si sarebbe dovuto amputare un braccio prende della terra dalla tomba del vescovo e lo spalma sul braccio. Segue una totale guarigione. Da allora, la gente non cessa di prendere della terra dalla sua tomba in rimedio a varie malattie.

Prendendo nota delle testimonianze della vita virtuosa del vescovo Mykolay Charnetskyi, e soprattutto della sua sopportazione, del suo coraggio e della sua fedeltà alla Chiesa di Cristo durante il periodo della persecuzione, il processo di beatificazione ha inizio nel 1960. Il 2 marzo 2001 viene completato a livello di eparchia, ed il caso viene trasmesso alla Sede Apostolica. Il 6 aprile 2001 il comitato teologico riconosce il fatto del martirio del vescovo Charnetskyi; il 23 aprile il suo martirio viene verificato dall’Assemblea dei Cardinali ed il 24 aprile 2001 il Santo Padre Giovanni Paolo II firma il decreto di beatificazione del vescovo Mykolay Charnetskyi, beato martire della fede cristiana.

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Beato Vasyl Velychkovskyi

Vasyl Vsevolod Velychkovskyi nasce l’ 1 giugno 1903 a Stanislaviv (ora Ivano-Frankivsk) nella famiglia dei Velychkovskyi e Teodorovych, che hanno entrambe una lunga tradizione di sacerdoti fra i loro membri. I genitori di Vasyl, Volodymyr ed Anna, educano i loro figli in uno spirito di devozione cristiana. Ecco perché fin dall’infanzia Vasyl nutre il desiderio di operare per la salvezza delle anime.

Vasyl Velychkovskyi riceve la sua educazione ginnasiale nella città di Horodentsi. Ardente patriota e ormai quindicenne, lo studente ginnasiale si arruola nell’armata galizia ucraina per lottare per l’indipendenza della sua madre patria durante la Prima Guerra Mondiale. Tornato sano e salvo dall’esercito nel 1920, Vasyl Velychkovskyi entra nel seminario di Lviv. Nel 1924 viene ordinato diacono dal Metropolita Andrey Sheptytskyi. E’ allora che Vasyl Velychkovskyi scopre la sua vocazione monastica. Con l’appoggio della sua zia Monica, entra nel noviziato Redentorista e l’anno dopo, il 29 agosto 1925, professa i voti di povertà, castità ed ubbidienza. Poiché ha già completo i suoi studi in teologia, terminato il periodo di noviziato, il 9 ottobre dello stesso anno viene ordinato sacerdote dal Vescovo Y. Botsian.

Fin dall’inizio della sua vita monastica, i suoi superiori notano il suo spiccato talento come missionario. Per sviluppare questo talento, dopo aver insegnato per due anni al ginnasio Redentorista “Juvenato”, Vasyl viene mandato a Stanislaviv per condurvi delle missioni insieme a due confratelli più esperti. Ha così inizio l’opera apostolica di Padre Velychkovskyi che durerà per 20 lunghi anni – fino all’inizio della persecuzione della Chiesa greco-cattolica ucraina.

Il 16 novembre 1928 Padre Velychkovskyi si trasferisce nel monastero Redentorista di Kovel. Immediatamente vi viene coinvolto nel lavoro missionario svolto a favore degli insediamenti galizi, diffusi nelle regioni Volhyn, e Pidliashshia, Kholm e Polissia, e che si sono distaccati dalla Chiesa greco-cattolica per aderire alla chiesa russa ortodossa. Oltre a dedicarsi agli insediamenti galizi, P. Velychkovskyi organizza missioni per la popolazione locale di Volhyn, Polissia e Belarus. Con il sostegno finanziario del Metropolita Sheptytskyi ed altri sponsor, fonda varie chiese e cappelle. Nel 1935 P. Velychkovskyi fa ritorno al monastero di Stanislaviv diventandone il superiore.

Velychkovskyi continua la sua attività apostolica su vasta scala, anche se la Chiesa greco-cattolica subisce una persecuzione ad opera dei sovietici dopo la loro occupazione dell’Ucraina occidentale nel 1939. Nel 1940 organizza una processione con la partecipazione di ventimila fedeli che, carichi della croce, attraversano le strade di Stanislaviv. Malgrado le minacce della polizia segreta sovietica, Padre Velychkovskyi non disarma. Nel 1941, su richiesta del Metropolita Sheptytskyi, parte per l’Ucraina centrale per lavorare con gli ucraini ortodossi di Kamianets-Podilskyi. Tuttavia, le attività pro-Ucraina del nuovo sacerdote destano il sospetto dei tedeschi che hanno ormai occupato la città. Appena tre giorni dopo il suo arrivo, Padre Velychkovskyi viene accusato di collaborare con le organizzazioni di resistenza nazionale ucraina e gli viene intimato di lasciare la città entro ventiquattro ore. Si trasferisce a Ternopil e diventa superiore della chiesa-monastero della Dormizione in quella città.

Nel 1945, essendosi impadronito per la seconda volta della Galizia, il regime sovietico, nella sola notte del 10-11 aprile arrestano i rappresentanti dell’intera gerarchia greco-cattolica. Il 26 luglio 1945 Padre Vasyl Velychkovskyi viene arrestato a Ternopil e accusato di “propaganda antisovietica”. Durante l’interrogatorio gli viene offerta l’opzione di aderire alla Chiesa russa ortodossa in cambio della sua libertà. La risposta è: “Mai!” Più tardi Padre Velychkovskyi viene trasferito nella prigione di Kiev, dove l’inchiesta del suo caso durerà per circa due anni. Finalmente, la corte regionale di Kiev lo condanna a morte – per due frasi di sapore anticomunista (” orda rossa” e “banda rossa”) stampate in un calendario tascabile pubblicato da Padre Velychkovskyi a Stanislaviv nel 1939.

Durante i tre mesi di detenzione nella cella della morte, P. Velychkovskyi continua ad onorare i suoi doveri di sacerdote. Insegna a pregare ai prigionieri; li istruisce sulle verità della fede cristiana e li prepara a ricevere i Sacramenti. Li conduce alle porte celesti. Finalmente, viene la notte in cui le guardie lo scortano fuori dalla cella. Tuttavia, non lo conducono giù verso il luogo di esecuzione, ma su, nell’ufficio dell’amministrazione della prigione. Giunto lì, lo informano che la sua sentenza a morte è stata commutata in un termine di dieci anni di prigionia.

Durante i primi due anni di questo termine, Padre Velychkovskyi è rinchiuso in un campo nella regione di Kirovsk; poi viene trasferito nelle miniere Vorkuta. Malgrado il lavoro estenuante, Padre Velychkovskyi celebra la Liturgia quasi ogni giorno – usa accessori di latta. “Quella latta” – dice il Metropolita Hermaniuk – “era il suo calice, la sua patena, il suo altare, la sua chiesa … e niente poté distruggere la sua chiesa, perché [era fondata sulla sua] fortissima convinzione e sulla grazia di Dio”. Molti mesi prima del suo rilascio, gli amici e confratelli prigionieri di Padre Velychkovskyi fanno in modo che egli possa lavorare nell’ospedale della prigione anziché nella miniera. Un cambiamento che gli salva la vita – perché dieci anni di prigione e di lavoro estenuante gli avevano stroncata la salute. Il 9 luglio 1955 Padre Velychkovskyi viene rilasciato.

Al suo ritorno a Lviv, Padre Velychkovskyi non trova né chiesa né cappella dove servire, ma la cosa non lo scoraggia. Si stabilisce in uno stanzino al numero 11 di via Vozzyednannia. Vi costruisce un altare con delle vecchie scatole di cartone. I fedeli rendono visita al Padre in gruppetti di cinque o sei, per partecipare alle liturgie. Durante il periodo di vita clandestina della Chiesa greco-ortodossa non teme di celebrare la Liturgia ogni giorno, di condurre esercizi spirituali, e di essere una guida spirituale per molti devoti cristiani. Nel 1959 la Sede Apostolica nomina Padre Vasyl Velychkovskyi vescovo della “Chiesa del Silenzio”. A causa della situazione spinosa venutasi a creare con l’Unione Sovietica, la sua ordinazione episcopale avverrà soltanto quattro anni dopo.

La prigionia decennale non ha “corretto” o cambiato il Vescovo Velychkovskyi. Continua a “diffondere della propaganda anticomunista fra la gene, non partecipa ai lavori di utilità sociale, non adempie ai suoi doveri di cittadino sovietico; scrive un libro sull’icona di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso in cui cerca di provare, con esempi specifici, che gli atei non possono essere dei buoni cittadini; ascolta le trasmissioni di radio Vaticana”. Questo elenco basta a giustificare un nuovo arresto del Vescovo Vasyl Velychkovskyi, che avviene il 2 gennaio 1969. Questa volta la prigionia durerà tre anni; il termine viene servito a Kommunarsk presso Donbass ed è causa di un serio attacco di cuore per il Vescovo Velychkovskyi.

Il 27 gennaio 1972 ha fine il secondo termine di prigionia. Questa volta al vescovo Velychkovskyi non viene concesso di ritornare a Lviv. Viene invece mandato in Iugoslavia per “ricreazione”. Ne approfitta per fare visita a sua sorella che vive a Zagabria, poi il Vescovo Velychkovskyi parte per Roma, dove incontra il Patriarca Yosyf Slipyi. Ha anche una conversazione privata con il Papa Paolo VI. Poco dopo, su invito del Metropolita Maksym Hermaniuk, il Vescovo Velychkovskyi parte a visitare il Canada.

Sfortunatamente la sua visita alla diaspora ucraina in Canada non durerà molto. Il 30 giugno 1973 il Vescovo Velychkovskyi muore all’età di 70 anni, dopo aver servito per 10 anni in qualità di vescovo. Anche se il suo cuore non batte nel suo corpo, continua a battere nelle nostre anime: “Non temere ciò che stai per soffrire: ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi in carcere, per mettervi alla prova e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita” (Ap. 2,10).

Tenute presenti le testimonianze sulla vita virtuosa del Vescovo Vasyl Velychkovskyi, e soprattutto la sua perseveranza, il suo coraggio e la sua fedeltà alla Chiesa di Cristo durante il periodo di persecuzione, il processo di beatificazione ha avuto inizio in occasione dell’Anno Giubilare. Il 2 marzo 2001, completato il processo a livello dell’eparchia, il caso viene trasmesso alla Sede Apostolica. Il 6 aprile 2001 il comitato teologico riconosce il fatto del martirio del Vescovo Vasyl Velychkovskyi. Il 23 aprile questo martirio viene verificato dall’Assemblea dei Cardinali, ed il 24 aprile 2001 il Santo Padre Giovanni Paolo firma il decreto di beatificazione del Vescovo Vasyl Velychkovskyi, beato martire della nostra fede cristiana.

(cf. www.cssr.it)

Beato Zynoviy Kovalyk

Zynoviy Kovalyk nasce il 18 agosto 1903 nel villaggio di Ivachiv Horishniy vicino a Ternopil, in una povera famiglia contadina. Prima di diventare monaco lavora come maestro elementare nel suo villaggio. Ha un carattere forte e non viene mai a compromessi con la sua fede. Fin dall’infanzia il sogno di Wynoviy è di diventare sacerdote. Scoperta la sua vocazione alla vita consacrata, Wynoviy Kovalyk entra a far parte dei Redentoristi. Professa i suoi voti di Redentorista il 28 agosto 1926. Poco dopo, viene mandato in Belgio per completare i suoi studi di filosofia e teologia.

Al suo ritorno in Ucraina, il 9 agosto 1932 Wynoviy Kovalyk viene ordinato sacerdote. Il 4 settembre 1932 Padre Kovalyk celebra la sua prima Liturgia nel suo villaggio natio di Ivachiv. Le piccole icone che commemorano la sua ordinazione portano la seguente iscrizione: “O Gesù, ricevi me (come sacrificio) insieme al Santo Sacrificio del Tuo Corpo e del Tuo Sangue: Ricevilo per la Santa Chiesa, per la mia Congregazione e per la mia madre patria”. Il Cristo gradì queste parole che erano offerta pura. Ben poco sapeva Padre Kovalyk che queste parole erano profetiche, e che presto – soltanto nove anni dopo – si sarebbero avverate nel suo martirio.

Dopo la sua ordinazione, Padre Kovalyk parte insieme al vescovo Mykolay Charnetskyi per la regione di Volhyn per servire la causa di riconciliazione con gli ortodossi ucraini. Il giovane sacerdote è una vera gioia per i suoi confratelli. Padre Kovalyk ha dello spirito, ha una bella voce ed una dizione molto curata. E’ un bravo cantante e davvero un predicatore dalla “bocca d’oro”. La sua devozione apostolica attrae migliaia di persone. Padre Kovalyk ama la Madre di Dio con tutto il cuore e non manca mai di mostrare la sua sincera pietà verso Maria. Queste qualità fanno sì che Padre Kovalyk abbia molto successo nelle sue attività missionarie.

Dopo vari anni di lavoro nella regione di Volhyn, Padre Kovalyk si trasferisce a Stanislaviv (ora Ivano-Frankvsk) per condurvi delle missioni in città e nei villaggi circostanti. Poco prima dell’invasione sovietica nel 1939 si trasferisce a Lviv, nel monastero Redentorista di via Wyblykevycha (ora Ivana Franka), e diventa economo del monastero.

Il coraggioso sacerdote continua a predicare la Parola di Dio anche quando ha inizio l’invasione sovietica. Un campo importante del lavoro di P. Kovalyk è quello delle confessioni, ed è in questo campo che ha particolarmente successo: viene avvicinato da un gran numero di persone che cercano il suo sostegno spirituale.

Mentre la maggior parte degli ucraini galizi sono annientati dal terrore, Padre Wynoviy dimostra un coraggio ammirevole. Molti predicatori sono diventati ormai estremamente cauti nei loro sermoni. Cercano di evitare gli argomenti spinosi del giorno e si concentrano nell’esortare il popolo ad essere fedele a Dio. Padre Kovalyk, al contrario, non teme mai di condannare apertamente i costumi atei introdotti dal regime sovietico. I suoi sermoni hanno un forte impatto sugli ascoltatori, ma allo stesso tempo sono un pericolo di non poco conto per il predicatore. Avvisato da amici del possibile pericolo che egli corre a causa del suo modo di predicare, Padre Kovalyk risponde: “Accoglierò con gioia la morte, se questa sarà la volontà di Dio, ma non scenderò mai a compromessi con la mia coscienza di predicatore”.

L’ultimo grande sermone di Padre Kovalyk ha luogo a Ternopil il 28 agosto 1940 in occasione della festa della Dormizione della Madre di Dio. Quel giorno, i fedeli ascoltatori di Padre Kovalyk sono all’incirca diecimila. Ma il suo sogno di martirio stava per avverarsi pochi mesi dopo…

La notte del 20-21 dicembre 1940 gli agenti della polizia segreta sovietica penetrano nel monastero dei Redentoristi per arrestare Padre Kovalyk per i suoi sermoni sulla Novena dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio, che aveva tenuti nella chiesa del monastero. Prima di lasciare i suoi confratelli, Padre Kovalyk chiede al suo superiore Padre De Vocht una sua ultima benedizione e assoluzione.

Per molto tempo i Redentoristi tentano di sapere quale sia stata la sorte del loro confratello arrestato, ma soltanto nell’aprile 1941 vengono a sapere che Padre Kovalyk è tenuto prigioniero a via Zamarstynivska (la famosa prigione “Brygidky”). Durante la sua prigionia, durata sei mesi, Padre Kovalyk subisce 28 interrogatori penosi; ben tre volte viene condotto in altre prigioni per esservi interrogato. Dopo uno di questi interrogatori, accompagnato da torture particolarmente crudeli, Padre Kovalyk si ammala a causa di una cospicua perdita di sangue.

Mentre è rinchiuso nella prigione, Padre Kovalyk prosegue nel suo lavoro apostolico. Condivide una cella striminzita (4,20 m x 3,50) e senza mobili con altri 32 compagni. Padre Kovalyk insieme ai prigionieri prega un terzo del rosario ogni giorno ed un rosario intero la domenica. Inoltre, conduce le preghiere liturgiche; durante il mese di maggio organizza preghiere alla Madre di Dio ed il giorno dell’Epifania invita i suoi compagni alla consacrazione liturgica dell’acqua. Oltre alla preghiera, Padre Kovalyk ascolta confessioni, conduce esercizi spirituali ed insegna catechismo, consola i suoi compagni narrando – nel suo modo tipico e spiritoso – varie storielle religiose. Non stupisce dunque il fatto che i prigionieri – gente con un estremo bisogno di speranza e di consolazione – amano Padre Kovalyk con tutto il cuore, per il suo zelo apostolico.

Nel 1941, quando le truppe tedesche cominciano la loro offensiva, i guardiani della prigione, smaniosi di fuggire, non potendo portare con loro i prigionieri, cominciano a sparare sui suoi compagni. Ma non basta loro l’idea di uccidere Padre Kovalyk, sparando: ricordandogli i suoi sermoni sul Cristo crocifisso, inchiodano Padre Kovalyk al muro della prigione in piena vista dei suoi compagni prigionieri.

Quando le truppe tedesche entrano a Lviv, aprono immediatamente le prigioni per ripulire il luogo dalle pile di corpi ormai già putrefatti. La gente corre ad invadere le prigioni nella speranza di ritrovarvi qualche parente. E tutti testimonieranno l’orribile veduta di quel prete crocifisso contro la parete della prigione, il suo addome tagliato netto e dentro la ferita un feto umano.

Per descrivere il Padre Zynoviy Kovalyk possiamo giustamente adoperare le parole dei vespri dei Martiri che parlano del guerriero glorioso ed invincibile che, armato della Croce, distrugge il nemico e riceve la corona della vittoria dall’unico Vincitore e Signore che regna per sempre. Il beato martirio di Padre Zynoviy Kovalyk può servire come rappresentazione grafica delle seguenti parole delle Scritture. “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. … Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità. Per una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé” (Sap. 3, 1.4-5).

Tenuto conto delle testimonianze sulla vita virtuosa di P. Zynoviy Kovalyk, e soprattutto della sua perseveranza, del suo coraggio e della sua fedeltà alla Chiesa di Cristo durante il periodo di persecuzione, viene dato inizio al processo di beatificazione con l’occasione dell’Anno Giubilare. Completato il processo a livello dell’eparchia, il 2 marzo il caso viene trasmesso alla Sede Apostolica. Il 6 aprile il comitato teologico riconosce del martirio di Padre Kovaly; il 23 aprile il suo martirio viene verificato dall’Assemblea dei Cardinali ed il 24 aprile 2001 il Santo Padre Giovanni Paolo II firma il decreto di beatificazione di P. Zynoviy Kovalyk, beato martire della fede cristiana.

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Beato Ivan Ziatyk

Ivan Ziatyk nasce il 26 dicembre 1899 nel villaggio di Odrekhova, ad una ventina di chilometri a sud-est della città di Sanok (ora territorio polacco). I suoi genitori, Stefan e Maria, sono dei poveri contadini. A 14 anni, Ivan perde il padre. A pensare all’educazione del bambino sono ormai la mamma ed il fratello maggiore,Mykhailo, che assume il ruolo di padre.

Ivan è un bambino molto tranquillo e docile. Già dalle elementari dimostra di essere un alunno dotato. Si nota anche la profonda pietà del ragazzo. Completa i suoi studi medi-superiori al ginnasio di Sanok dove studia dal 1911 al 1919. Si possono notare i suoi ottimi risultati accademici ed il suo comportamento esemplare. Nel 1919 Ivan Wiatyk entra nel Seminario cattolico ucraino di Przemysl e il 30 giugno 1923 si laurea con distinzione. Lo stesso anno, completati gli studi teologici, viene ordinato sacerdote.

Dal 1925 al 1935 P. Ziatyk lavora come prefetto del Seminario cattolico ucraino a Przhemysl. Alla direzione spirituale dei seminari aggiunge il suo contributo alla loro formazione intellettuale: insegna catechesi e teologia dogmatica nello stesso Seminario. Inoltre svolge il compito di direttore spirituale e di insegnante di catechesi al Ginnasio femminile ucraino di Przemysl.

Il P. Ivan Ziatyk è persona molto gentile, ubbidiente, profondamente spirituale. Chi lo incontra rimane colpito dalla sua persona. Per lungo tempo P. Ziatyk nutre il desiderio di entrare in monastero. Anche se i suoi superiori ecclesiastici non gradiscono questa sua intenzione, il 15 luglio 1935 P. Ivan Ziatyk prende la sua decisione finale e entra nella Congregazione Redentorista.

Completato il suo noviziato ad Holosko (vicino a Lviv) nel 1936, P. Ziatyk viene mandato al monastero di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Stanislaviv (ora Ivano-Frankivsk). Tuttavia, non vi rimane a lungo: nell’autunno 1937 Padre Ziatyk si trasferisce a Lviv, nel monastero di via Zyblykevycha (ora Ivana Franka), nn. 56-58. Vi assume l’incarico di economo del monastero. Vi sostituisce il superiore, Padre De Vocht, che deve assentarsi. Nel 1934 i Redentoristi avevano aperto il loro Seminario ad Holosko, e Padre Ziatyk vi diventa professore di Sacra Scrittura e di Teologia Dogmatica. Dal 1941 al 1944 è superiore del monastero della Dormizione della Madre di Dio a Ternopil, e dal 1944 al 1946 superiore del monastero di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Zboiska (nei pressi di Lviv), che ospita il ginnasio redentorista (Juniorato).

La fine della Seconda Guerra Mondiale segna l’inizio di un periodo terribile per la storia dell’Ucraina, per la Chiesa greco-cattolica e per la Provincia Redentorista di Lviv. Vengono arrestati tutti i vescovi greco-cattolici, e nella primavera del 1946 la polizia segreta sovietica raduna i Redentoristi di Termopil, Stanislaviv, Lviv e Zboiska ad Holosko, confinandoli in un’ala non riscaldata del monastero. Anche Padre Ziatyk è fra questi. I Redentoristi vi rimangono per due anni sotto costante sorveglianza della polizia segreta. La loro presenza viene verificata da tre a quattro volte la settimana. I confratelli subiscono spesso interrogatori durante i quali, naturalmente, vengono loro offerti vari benefici in cambio della loro rinuncia alla fede e alla vocazione monastica. Il 17 ottobre 1948 tutti i Redentoristi di Holosko vengono fatti salire su dei camion che li trasportano al monastero Studite di Univ. Quasi subito il Provinciale Redentorista, Padre Joseph De Vocht viene deportato in Belgio. Prima della sua partenza trasferisce il suo incarico di Provinciale della Provincia di Lviv e di Vicario Generale della Chiesa greco-cattolica ucraina a Padre Ivan Ziatyk, attirando così su quest’ultimo tutte le attenzioni della polizia. Il 5 gennaio 1950 decidono di arrestarlo e il 20 gennaio l’ordine viene eseguito. Dopo numerosi interrogatori, il 4 febbraio 1950 Padre Ivan viene accusato: “Ivan Ziatyk è invero stato un membro dell’ordine dei Redentoristi fin dal 1936; egli promuove le idee del Papa Romano e si dedica alla diffusione della Fede cattolica nelle nazioni di tutto il mondo ed a fare diventare tutti cattolici” “.

Le indagini sul caso Ziatyk dureranno ben due anni e P. Ziatyk vive l’intero periodo fra le mura delle prigioni di Lviv e Zolochiv. Nel solo periodo che va dal 4 luglio 1950 al 16 agosto 1951 viene interrogato ben 38 volte; in tutti gli interrogatori saranno 72. Malgrado le crudeli torture che accompagnano ogni seduta, Padre Ziatyk non tradisce la sua fede non si sottomette al regime ateo, anche se i suoi stretti familiari cercano di persuaderlo in tal senso.

Il verdetto viene annunciato a Kiev il 21 novembre 1951. Viene condannato a 10 anni di prigione per aver “cooperato con l’organizzazione nazionalista antisovietica e con la propaganda antisovietica”. Verrà detenuto nel campo di prigonia lager di Ozernyl, vicino alla città di Bratsk, nella regione Irkutsk.

Durante la sua prigionia, Padre Ziatyk subisce delle torture terribili. Secondo alcuni testimoni, il Venerdì Santo del 1952, Padre Ivan Ziatyk viene percosso violentemente, immerso nell’acqua e lasciato, privo di sensi, all’aperto nel freddo ghiacciale siberiano. Le percosse ed il freddo lo condurranno alla morte in un ospedale della prigione tre giorni dopo, il 17 maggio 1952. Padre Ziatyk viene seppellito nel distretto Taishet della regione Irkutsk. Il Grande Architetto depone così un’altra preziosa tegola nel grande mosaico del martirio.

Prendendo atto delle deposizioni a testimonianza della vita virtuosa di Padre Ivan Ziatyk, e soprattutto della sua tenacia, del suo coraggio e della sua fedeltà alla Chiesa di Cristo durante il periodo di persecuzione, viene dato inizio al processo di beatificazione in occasione dell’Anno Giubilare. Il 2 marzo 2001 il processo è completato a livello dell’eparchia ed il caso viene trasmesso alla Sede Apostolica. Il 6 aprile 2001 il comitato teologico riconosce il fatto del martirio di Padre Ziatyk ed il 23 aprile il suo martirio viene verificato dall’Assemblea dei Cardinali. Infine, il 24 aprile 2001 il Santo Padre Giovanni Paolo II firma il decreto di beatificazione di Padre Ivan Ziatyk, martire beato della fede cristiana.

(cf. www.cssr.it )

Beato Pedro Romero Espejo

Nasce nel Pancorbo (Burgos) nel 1871. Entra tra i Giovani di El Espino, e fa la professione come Missionario Redentorista il 24 settembre del 1890. Viene ordinato sacerdote nel 1896, e viene destinato alla predicazione delle missioni popolari. Risiede ad Astorga (León), Madrid e a Cuenca. Accetta con umiltà i suoi limiti che non comprendevano la predicazione. Come religioso è molto osservante; spicca il suo spirito di povertà, la sua serietà e la sua timidezza. Vive nel silenzio della preghiera per tutta la vita.

Il 23 luglio del 1936 si rifugia tra le Sorelline dei Poveri come se fosse un anziano. Là celebra l’Eucaristia e partecipa alle necessità religiose. Ad agosto del 1937 si nasconde in una famiglia; denunciato, viene chiamato a comparire al cospetto del governo civile. Dichiara tranquillamente la sua condizione di Redentorista. Lo internano nella casa di Beneficenza; ma le burle e le bestemmie dei residenti lo portano ad andarsene ed a vivere mendicando per le strade della città, con il rosario e il crocifisso in vista.

Rifiuta l’accoglienza in particolari domicili per non creare pericolo e ogni volta che viene chiamato per amministrare i sacramenti va senza attardarsi. La sua salute lo piega a poco a poco. Nel maggio del 1938 viene imprigionato per opposizione al regime. Si ammala nel carcere e muore il 4 luglio del 1938 come conseguenza ai patimenti sofferti durante la persecuzione. In nessun momento ha rinunciato alla sua condizione di credente, consacrata e sacerdotale, come si vede nella sua biografia. Anche se non è stato assassinato, la conclusione della sua vita è stata riconosciuta come di martire.

Beato Victoriano Calvo Lozano

Nasce a Horche (Guadalajara) il 23 dicembre del 1896. La sua inclinazione verso la lettura spirituale lo porta a studiare per diventare sacerdote o farsi religioso, ma la sua età, i suoi obblighi e reticenze familiari e le sue risorse non bastano per pagarsi gli studi. Il 31 marzo del 1919, Víctor abbandona la sua famiglia ed il suo popolo senza salutare nessuno. Lascia sul letto una lettera che spiega la sua fuga. Fa la professione come Fratello Coadiutore Redentorista il 13 novembre del 1920, con il nome di Fratello Victoriano. Nel 1921 viene destinato alla comunità redentorista di Cuenca dove lavora come ortolano, sacrestano e portiere. Si offre di andare in missione in Cina. E’ silenzioso ma profondo. E’stato direttore spirituale di una giovane; per lei ha scritto dei ritiri spirituali ed altre opere che si conservano come testimonianza del suo speciale carisma.

Il 20 luglio del 1936 si rifugia in una casa amica con P. Pozo; il giorno 31 i due si rifugiano nel Seminario. Da lì viene prelevato l’11, con le mani legate, in compagnia del P. Gorosterratzu, e condotti al cimitero di Cuenca. Ha donato la sua vita al Redentore in silenzio, senza negare la sua fede e la sua condizione di religioso.

Beato Julián Pozo Ruiz de Samaniego

Nasce a Payueta (Álava) nel 1903. Nel 1913 entra tra i Giovani di El Espino (Burgos). E’ un bambino di carattere riflessivo e durante la sua vita sviluppa il dono per il consiglio e l’orientamento. Fa la professione nel 1920 e viene ordinato sacerdote nel 1925. La sua formazione viene ostacolata dalla malattia: nel 1921 si ammala di tubercolosi e, nel 1923 ha una ricaduta con una forte emottisi. Nell’estate del 1926 viene destinato a Granada dove conosce i Servi di Dio Conchita Barrecheguren e Francisco Barrecheguren. Tutti lo considerano un uomo sensato, pacifico, sagace e con un viso da bambino. Ha capacità particolari per il sacramento della Riconciliazione.

Il suo sorriso caratteristico apre i loro cuori. Nel 1928 viene destinato a Cuenca.

Il 20 luglio abbandona il convento e si rifugia a casa di alcuni amici con H. Victoriano. Gli domandano che dirà se vengono a casa per loro e lui risponde: “Ci presentiamo come quelli che siamo: religiosi e redentoristi. Non abbiamo martiri… vediamo se siamo i primi!” Il giorno 31 si rifugiano al Seminario, ma il 9 di agosto viene prelevato assieme al presbitero Crisóstomo Escribano e viene portato al martirio. I due muoiono al km 8 della strada che va da Cuenca a Tragacete. P. Pozo viene martirizzato a 33 anni mentre prega,in ginocchio con un crocifisso in una mano e il rosario nell’altra, e il sorriso sul suo viso.

Beato Miguel Goñi Áriz

Nasce a Imarcoain (Navarra) nel 1902. Nel 1913 entra tra i giovani di El Espino. Fa la professione come religioso della Congregazione del SS. Redentore il 26 agosto 1920. Viene ordinato sacerdote nel 1925. Anche se è cagionevole di salute, predica varie missioni popolari a Cantabria, Andalusia ed in Galizia. Vive a Nava del Rey (Valladolid), Granada, Santander e Vigo. Nel 1932 si reca a Cuenca per trascorrere la sua gioventù. La sua attività si sviluppa fondamentalmente nella chiesa redentorista di S. Filippo Neri, nella quale celebra l’Eucarestia e presta il ministero della riconciliazione.

Nel mese di maggio del 1936, viene inseguito per le strade di Cuenca da un gruppo di esaltati desiderosi di attaccare un qualsiasi religioso. Dieci giorni prima di abbandonare il convento di San Filippo, P. Miguel Goñi viene arrestato con P.Ciriaco Olarte. Secondo quanto dicono, dopo aver ricevuto gli spari, P. Miguel si è trascinato vicino al P. Ciriaco per potersi consolare insieme, farsi coraggio e confessarsi, prima di consegnare la vita al Redentore, il 31 agosto del 1936. Sembra che la sua agonia sia durata molte ore.

Beato Ciriaco Olarte Pérez de Mendiguren

Nasce a Gomecha (Álava) nel 1893. Nel 1904 entra tra i Giovani Redentoristi di El Espino (Burgos); fa la professione come Redentorista l’8 settembre 1911. Viene ordinato sacerdote nel 1917. Nel 1921 attraversa l’oceano alla volta del Messico, dove sviluppa un’ intensa attività missionaria. Il suo impegno missionario non viene fermato dalla persecuzione religiosa di Plutarco Calles del 1926. Dato che il ministero sacerdotale diventa impossibile, il 12 settembre 1926 ritorna in Spagna. Porterà a termine il suo compito missionario a La Coruña, Madrid – comunità del Perpetuo Soccorso – e dal maggio del 1935 si stabilisce a Cuenca.

Nell’abbandonare il convento, nel giugno del 1936, si nasconde con il P. Goñi nelle case di due sacerdoti. Dal suo rifugio pronuncia queste parole come fossero una profezia: “Il giorno di S. Alfonso (1 agosto) lo passeremo in cielo…”. I due vengono denunciati e il 31 vengono arrestati e trasportati a spintoni da una turba di miliziani senza controllo. Non c’è né giudizio né ordine di esecuzione. In uno sterrato vicino alla centrale elettrica di El Batán, sparano loro a bruciapelo. I due cadono per terra e P. Ciriaco muore all’istante. Alle 10 di notte arriva il Giudice per raccogliere i cadaveri che vengono messi nella stessa cassa e sotterrati nella fossa comune.

Beato José Javier Gorosterratzu Jaunarena

Nasce ad Urroz (Navarra) nel 1877. A 16 anni entra come postulante nella Congregazione del Santissimo Redentore. Fa la professione l’8 settembre del 1896. Viene ordinato sacerdote nel 1903. Risiederà a El Espino (Burgos), ad Astorga (León), come professore di Filosofia e Scienze, a Pamplona (Navarra), nella Basílica Pontificia di S. Michele a Madrid e a Cuenca, dove vive la conclusione della sua vita offrendosi per un’abbondante redenzione. E’ stato un uomo di gran talento, pensiero ed erudizione. Oltre ad essere un predicatore di missioni popolari in lingua basca ed in castellano, oltre a dirigere spiritualmente e predicare ritiri, ha pubblicato due opere storiche ed ha composto un manuale inedito di filosofia.

Il 22 luglio 1936 si nasconde a casa di un amico della comunità. Il 28 si trasferisce nel Seminario credendolo un luogo più sicuro. Là continuerà ad esercitare il suo servizio sacerdotale tra i rifugiati, esortandoli a dare la loro vita, se necessario, con piena coscienza della possibilità di un prossimo martirio. Lo hanno prelevato dal Seminario alle 2 del mattino del giorno 11 per giustiziarlo insieme al H. Victoriano. I due hanno dato la loro vita vicino al cimitero di Cuenca.

Beata Maria Celeste Crostarosa

Nacque a Napoli il 31 ottobre 1696, decima dei dodici figli di Francesco Crostarosa, magistrato e discendente di una nobile famiglia abruzzese, e di Paola Battistini Caldari. Fu battezzata il 1° novembre nella chiesa di San Giuseppe Maggiore, coi nomi di Giulia Marcella Santa.

Precoce in intelligenza e capacità di ragionare, dotata di un carattere deciso ed estroverso, Giulia trascorse l’infanzia e l’adolescenza nella agiata serenità della sua casa. Cominciò ad approfondire la sua vita spirituale, ma non fu priva di crisi: consigliata da don Bartolomeo Cacace, riuscì a superare quella fase.

A vent’anni, nel 1716, accompagnò insieme alla madre la sorella Orsola al monastero carmelitano, recentemente fondato, di S. Maria dei Sette Dolori a Marigliano in provincia di Napoli: decise di restare anche lei, che tre anni prima aveva fatto voto di castità. Il 21 novembre 1718 le due sorelle vestirono l’abito carmelitano e iniziarono il noviziato, terminato l’anno seguente.

Quando il monastero fu chiuso per cause di forza maggiore, le due sorelle furono costrette a lasciare Marigliano il 16 ottobre 1723. Dopo una breve permanenza in famiglia, accettarono l’invito di padre Tommaso Falcoia, dei Pii Operai, il quale aveva fondato due anni prima il monastero della Ss. Concezione a Scala, in provincia di Salerno, cui aveva dato la regola della Visitazione. Si trasferirono là nel gennaio 1724; Giulia assunse il nome di suor Maria Celeste del Santo Deserto.

Il 25 aprile 1725, dopo la Comunione, ebbe luogo il primo degli eventi straordinari di cui suor Maria Celeste fu protagonista. Le fu rivelato come, per mezzo suo, il Signore avrebbe posto nel mondo un nuovo istituto religioso. Per ubbidienza alla maestra delle novizie, redasse il testo delle regole, centrate sulla comunità intesa come “viva memoria” dell’amore del Redentore.

L’approvazione giunse dopo un attento esame da parte di un consiglio di teologi napoletani, sollecitati da padre Falcoia, e in seguito a non poche difficoltà da parte dei superiori e di alcune consorelle. Fu determinante, per la soluzione della faccenda, l’apporto di un sacerdote napoletano, don Alfonso Maria de’ Liguori (futuro Santo e Dottore della Chiesa). Il 13 maggio 1731 ebbe quindi inizio l’Ordine del SS. Salvatore, che con l’approvazione pontificia, nel 1750, cambierà il titolo in “del SS. Redentore”.

A tanta grazia corrisposero presto momenti difficili per suor Maria Celeste. Padre Falcoia insistette per rimaneggiare la Regola e le impose di accettare le correzioni, pena l’espulsione. Di fatto, lei venne isolata dalla comunità monastica e privata dell’Eucaristia. Poco dopo, il 14 maggio 1733, il capitolo del monastero la dichiarò espulsa: lasciò Scala il 25 maggio, insieme alle due sorelle monache.

Per dieci giorni, dal 26 maggio in poi, fu ospite del monastero benedettino della SS. Trinità di Amalfi. Nel mese di giugno si ritirò nel Conservatorio domenicano della SS. Annunziata a Pareti di Nocera (oggi Nocera Inferiore, in provincia di Salerno): ne divenne superiora e lo riformò, operando il bene sia dentro che fuori le mura del chiostro. Il suo nuovo direttore spirituale, trascorsi cinque anni, divenne don Bernardino Sommantico.

Sollecitata dal duca Ravaschieri di Roccapiemonte, il 7 novembre 1735 partì nuovamente, per un tentativo di fondazione. Il 4 marzo 1738, si diresse con la sorella Orsola a Foggia, dove giunse solennemente cinque giorni dopo. La sua comunità si trasferì nel nuovo conservatorio del SS. Salvatore il 4 ottobre 1739, dove, il 26 marzo 1742, si svolse la vestizione di otto ragazze.

Finalmente suor Maria Celeste poteva attuare il carisma che le era stato ispirato, guidando le consorelle, ma anche le ragazze del ceto medio che venivano educate nel monastero, con equilibrio e responsabilità.

Per lei, la vita delle monache doveva essere una perfetta imitazione della vita del Cristo; di conseguenza, la comunità religiosa era concepita come “viva memoria” del suo amore redentore. Il criterio fondamentale cui doveva ispirarsi era l’essenzialità, attinta dalla familiarità con la Parola e concretizzata nel donarsi senza riserve al prossimo, come scrisse nella prima Regola.

Oltre alla stima di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, suor Maria Celeste godette di quella del giovane fratello redentorista Gerardo Maiella (anche lui canonizzato) e di tutto il popolo di Foggia, che la chiamava “la santa priora”. Intorno al 1750, su invito del direttore spirituale, scrisse la propria autobiografia, fonte di numerosi dettagli sulla sua storia personale.

La sua esistenza terrena si concluse il 14 settembre 1755 nel monastero di Foggia, mentre il sacerdote che l’assisteva, leggendo la Passione secondo Giovanni, era arrivato alle parole «Consummatum est» («È compiuto»).

Oltre all’autobiografia, suor Maria Celeste ha lasciato un nutrito epistolario, che completa il quadro della sua personalità e permette di osservare la sua vita interiore. Per le sue quindici opere ascetiche, inoltre, è considerata una delle più grandi mistiche del Settecento italiano.

In virtù della sua fama di santità, dal 9 luglio 1879 al 1° luglio 1884, presso la Curia ecclesiastica di Foggia, fu celebrato il Processo informativo, a cui fece seguito, l’11 agosto 1901, il decreto della Congregazione dei Riti sull’introduzione della Causa. Dal 2 maggio 1932 al 4 novembre 1933, a Foggia, fu celebrato il processo apostolico sul non culto e sulla fama di santità. La validità giuridica è stata riconosciuta dalla Congregazione per le Cause dei Santi con decreto del 21 maggio 1999.

Preparata la “Positio”, si è discusso, secondo la consueta procedura, se la Serva di Dio abbia esercitato in grado eroico le virtù cristiane. Con esito positivo, l’11 maggio 2011, si è tenuto il Congresso Peculiare dei Consultori Teologi. I Cardinali e Vescovi membri della Congregazione per le Cause dei Santi, nella Sessione Ordinaria del 7 maggio 2013, hanno riconosciuto che la Serva di Dio ha esercitato in grado eroico le virtù teologali, cardinali ed annesse. Il 3 giugno 2013 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto sull’eroicità delle virtù.

Come probabile miracolo utile per la beatificazione è stato esaminato il caso di una monaca redentorista, affetta da un’otite cronica e purulenta all’orecchio sinistro. Dopo circa dieci anni di riacutizzazioni e di quiescenza della malattia, in occasione della ricognizione della Venerabile (avvenuta nel 1955), la religiosa toccò i resti mortali invocando la guarigione. Improvvisamente riscontrò la scomparsa del dolore e ricominciò a sentire distintamente. Gli esami medici successivi all’evento straordinario hanno evidenziato la perfetta funzione del complesso timpano-ossiculare.

Celebrata l’Inchiesta diocesana negli anni 1987-1988, la Consulta Medica ha riconosciuto, il 19 febbraio 2015, che la guarigione fu rapida, completa e duratura, inspiegabile alla luce delle attuali conoscenze mediche.  Il 9 giugno 2015, i Consultori teologi, radunati nel Congresso peculiare, attribuirono tale guarigione all’intercessione della Venerabile Maria Celeste Crostarosa e i Cardinali e Vescovi, radunati nella Sessione Ordinaria del 3 novembre 2015, confermarono il parere positivo.

Il 14 dicembre 2015, ricevendo in udienza il Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto sul miracolo.

Autore: Emilia Flocchini